Mons. Di Tora: l’Avvento ci aiuti a riscoprire la centralità della relazione con
Dio e con il prossimo
“La vicinanza di Dio non è una questione di spazio e di tempo, bensì una questione
di amore: l’amore avvicina!”: è uno dei passaggi della riflessione di Benedetto XVI,
all’Angelus di ieri, Terza domenica d’Avvento. Il Papa ha sottolineato che il Natale
viene a ricordarci una verità fondamentale della nostra fede: nel neonato Gesù contempliamo
“il volto del Dio che per amore si è fatto a noi vicino”. Sul significato dell’Avvento,
in particolare per le persone povere e per chi versa in situazioni di disagio, Alessandro
Gisotti ha intervistato mons. Guerino Di Tora, direttore della Caritas
diocesana di Roma:
R. – L’Avvento
è per se stesso il senso dell’attesa e della speranza. Lo stiamo vivendo in un momento,
per tanta gente, di difficoltà economica oltre che sociale. Io immagino che tutto
questo ci riporta a dare un valore ancora più spirituale al senso dell’attesa del
Signore che viene, che non sia quindi una routine unicamente fondata sul comprare
doni, sull’aspettare il momento di una grande mangiata, ma l’attesa del Signore che
viene a salvare ogni persona. E quindi saper trasformare l’Avvento di quest’anno da
un fatto che ciclicamente ricordiamo in un evento: quell’incontro con il Signore che
cambia la nostra vita, che ci ridà la capacità di ritrovare nel nostro mondo il senso
della sobrietà, riscoprire i valori dell’essenzialità del nostro vivere.
D.
– Ecco, forse questa situazione di difficoltà economica può aiutare a riscoprire l’importanza
delle relazioni tra le persone, piuttosto che il possesso delle cose?
R.
– Questo penso debba essere proprio il grande messaggio: il passaggio dal rapportarsi
con gli altri attraverso le cose materiali, al rapportarsi all’altro in quanto persona.
Riscoprire quindi quello che per noi deve essere il senso della teologia della prossimità.
Non solo quindi solidarietà, dare qualcosa agli altri, ma farci prossimo all’altro;
riscoprire un rapporto che noi andiamo a cercare, un rapporto che non è dato dalle
cose materiali, ma è dato da quelle che sono le situazioni della vita: un sorriso,
un’attenzione per la speranza. Quanti anziani che non hanno bisogno di cose materiali,
hanno bisogno di chi vada a "perdere tempo" materialmente con loro. Che non è poi
un tempo perduto, ma il vero tempo guadagnato!
D.
– Ieri, terza Domenica di Avvento, la liturgia ci presentava un passo di Isaia, che
sottolinea come il lieto annuncio sia rivolto soprattutto ai miseri, ai malati, ai
prigionieri. Qual è la sua esperienza, quale l’esperienza degli operatori della Caritas,
che vivono quotidianamente con chi è in difficoltà, con chi versa in questo stato?
R.
– E’ quella di Isaia che grida “Voglio consolare il mio popolo”. E la Domenica è proprio
chiamata “gaudete”. Quindi, la gioia perchè il Signore che viene, viene a portare
questo messaggio di speranza soprattutto a chi è nel disagio e nella difficoltà. Oggi
probabilmente ci sono forme molto diverse di questo disagio, vicino a quelle che sono
le realtà tradizionali, del povero, del disagiato, del barbone. Abbiamo nuove realtà.
Pensiamo alle famiglie che non arrivano alla fine del mese. Pensiamo ai nuclei familiari,
quindi a quelle famiglie divise in cui la mamma con i bambini è da sola e il papà
è da un’altra parte. Pensiamo a tutte queste nuove realtà. Il messaggio dell’Avvento
è per questi nuovi disagi e a questi vogliamo, attraverso la Parola di Dio, attraverso
il messaggio del Profeta, portare questo messaggio di speranza, perchè la nostra speranza
si fonda su Cristo, che è la nostra certezza e la nostra sicurezza.