Prosegue in Italia il dibattito sul possibile utilizzo nel Paese della Ru 486. Mancano
ancora dei passaggi istituzionali prima di un eventuale via libera alla pillola abortiva.
Di questo si tratta infatti: non è un anticoncezionale, ma una pratica che provoca
l’eliminazione dell’embrione appena impiantato, dunque un aborto. Ascoltiamo in proposito
Domenico Delle Foglie, portavoce dell’associazione Scienza e Vita, al microfono
di Emanuela Campanile:
R. – Noi
sono mesi, se non anni, che denunciamo una dimensione di cui, probabilmente, come
dire, “la cultura dominante di questo Paese” non riesce a rendersi partecipe di questa
preoccupazione e cioè quella che la pillola porta in sé quello che noi definiamo un
processo di banalizzazione dell’aborto. Ora, già l’aborto in sé, dopo 30 anni ormai,
è quasi concepito come un diritto, mentre sapete che non è assolutamente un diritto
ma solo un’opportunità. Questo è l’ultimo passo, l’ultimo gradino di quel cammino
cominciato tanti anni fa che porta non solo all’assoluta autodeterminazione della
donna ma porta soprattutto ad allontanare, come dire, la responsabilità dell’aborto
e cioè i medici, attraverso la Ru 486, si sono spogliati della responsabilità dell’aborto.
D.
– Cosa significa questo svuotamento di responsabilità da parte dei medici?
R.
– Sapete che, da un punto di vista morale, innanzitutto la gravità dell’atto è a carico
di chi lo compie, quindi, praticamente, dei medici. I medici non ne potevano più di
fare aborti, non ne possono più di fare aborti e quindi stanno salutando l’arrivo
della Ru 486 come la liberazione da un incubo che resta tutto a carico delle donne
le quali abortiranno, purtroppo, a casa e forse, per la prima volta - al di là dei
terribili aborti spontanei nei quali già questo accade - di vedersi di fronte, di
guardare con i propri occhi la creatura che hanno perso: vedranno, in questo caso,
la creatura che, con un atto di volontà, hanno, come dire, eliminato e allora, questo
sarà un trauma per tantissime donne. Poi ci sono tutti i problemi medici perché la
letteratura internazionale ci dà la certezza di almeno 16 casi di morte e praticamente,
il rapporto di rischio fra l’aborto farmacologico e l’aborto chirurgico, è assolutamente
a favore dell’aborto chirurgico, cioè dà maggiore sicurezza alle donne: ma le cose,
oggi, sono così.
D. - Che cosa si può fare a questo
punto?
R. – Questo spetta a noi. Io immagino la nostra
azione di Scienza e Vita, ma anche quella di tutti i movimenti, di tutte le associazioni
che hanno a cuore il tema della vita: è di prospettare con lealtà, direi con affetto,
con amicizia, nei confronti delle donne, questi problemi. Chi fa ricorso all’aborto
farmaceutico, forse lo farà sempre più con leggerezza, allora noi dobbiamo educare
le nostre nuove generazioni a capire che questi processi di banalizzazione portano
in sé un giudizio negativo sulla vita, cioè la vita ha sempre meno valore.