Seconda predica d’Avvento di padre Cantalamessa per la famiglia pontificia
Svuotarsi di ogni pretesa, “in spirito di povertà e umiltà, è il modo migliore” per
prepararsi al Natale: con queste parole padre Raniero Cantalamessa, predicatore della
Casa Pontificia, ha concluso stamani la seconda predica d’Avvento – ascoltata anche
da Benedetto XVI – nella Cappella Redemptoris Mater. Il religioso ha sottolineato,
in particolare, la necessità di porre Cristo al centro della propria esistenza, come
ha fatto San Paolo. Il servizio di Tiziana Campisi:
“Paolo …
non si è convertito a una dottrina …; si è convertito a una persona! Prima che un
cambiamento di pensiero, il suo è stato un cambiamento di cuore, un incontro con una
persona viva”.
Padre Raniero Cantalamessa ha centrato
su questo aspetto la seconda predica d’Avvento, puntualizzando che troppo spesso la
centralità di Cristo in San Paolo è passata in secondo piano. Come ad esempio nelle
discussioni tra cattolici e protestanti. Specificando che avvicinarsi a Cristo, conoscerlo,
“non indica una scoperta solo intellettuale, un farsi un’idea di qualcosa, ma un legame
vitale intimo”, il religioso francescano ha detto:
“È
tempo, credo, di andare oltre la Riforma e oltre la Controriforma… Per fare un solo
esempio, il problema non è più quello di Lutero di come liberare l’uomo dal senso
di colpa che l’opprime, fargli trovare un Dio benigno, oggi il problema è come ridare
all’uomo il vero senso del peccato che ha perso del tutto… Io credo che tutte le secolari
discussioni tra cattolici e protestanti intorno alla fede e alle opere hanno finito
per farci perdere di vista il punto principale del messaggio paolino, spostando spesso
l’attenzione da Cristo alle dottrine su Cristo, in pratica, da Cristo agli uomini,
ai teologi, alle scuole…”.
E anche oggi, ha aggiunto
padre Cantalamessa, “Cristo non entra in questione in nessuno dei tre dialoghi più
vivaci in atto … tra la Chiesa e il mondo”:
“Non
nel dialogo tra fede e filosofia, perché la filosofia si occupa di concetti metafisici,
non di realtà storiche, come è la persona di Gesù di Nazareth; non nel dialogo con
la scienza, con la quale si può unicamente discutere dell’esistenza o meno di un Dio
creatore, di un disegno dell’evoluzione; non, infine, nel dialogo interreligioso,
dove ci si occupa di quello che le religioni al massimo possono fare insieme, per
la pace, la fame e via dicendo…”.
L’esperienza personale di Paolo, ha
spiegato il predicatore della Casa Pontificia, è quel “vivere in Cristo” che porta
ad una visione globale della propria vita incentrata sul Figlio di Dio, cosicché la
chiamata ad essere santi - nella Lettera ai Romani - equivale ad esser “chiamati da
Dio alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo”. Per l’Apostolo delle Genti “la
fede che salva è solo quella nella morte e risurrezione di Cristo”, confessare con
la bocca che Gesù è il Signore, e credere con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai
morti. Per descrivere il modo in cui l’ebreo di Tarso si è convertito, padre Cantalamessa
ha usato anche esempi pratici, paragonandone l’esperienza al “colpo di fulmine”:
“L’effetto
dell’innamoramento è duplice. Da una parte opera ... una concentrazione sulla persona
amata che fa passare in secondo piano tutto il resto del mondo; dall’altra rende capaci
di soffrire per la persona amata, di accettare la perdita di tutto”.
Dunque
Paolo, amando Cristo, ha concentrato la sua vita sul Vangelo, donandola totalmente
e sopportando qualunque sofferenza perché conquistato da Gesù. E oggi, riflettendo
sulla sua esperienza, ha proseguito il predicatore della Casa Pontificia, è possibile
cogliere che:
“Egli parla sempre di una presenza
di Dio ‘in Cristo’. Una presenza irreversibile e insuperabile. Non c’è uno stadio
della vita spirituale in cui si possa fare a meno di Cristo, o andare ‘oltre Cristo’.
La vita cristiana è una ‘vita nascosta con Cristo in Dio’. Questo cristocentrismo
paolino non attenua l’orizzonte trinitario della fede ma lo esalta, perché per Paolo
tutto il movimento parte dal Padre e ritorna al Padre, per mezzo dello Spirito. L’espressione
'in Cristo' è intercambiabile, nei suoi scritti, con l’espressione ‘nello Spirito’”.
Insomma,
ha concluso padre Cantalamessa, quella del Risorto è una reale presenza accanto a
noi, perché nel suo affermare: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del
mondo”, “Cristo … si fa realmente nostro contemporaneo”. Ma oltre a porre Cristo al
centro della propria vita il credente deve compiere un altro passo:
“Questa
è la conversione più necessaria per noi che abbiamo seguito Cristo e siamo vissuti
al suo servizio nella Chiesa. Una conversione tutta speciale, che non consiste nell’abbandonare
il male, ma, in certo senso, nell’abbandonare il bene! Cioè nel distaccarsi da tutto
ciò che si è fatto, ripetendo a se stessi, come ci dice Gesù: ‘Siamo servi inutili;
abbiamo fatto quanto dovevamo fare’. E forse neppure bene come dovevamo farlo. Questo
svuotarci le mani e le tasche di ogni pretesa, in spirito di povertà e umiltà, è il
modo migliore per prepararci al Natale”.
Avere le
mani vuote, dunque, è il modo per ricevere il dono di Cristo.