Nuovo documento della Chiesa sulla bioetica: riconoscere ad ogni essere umano, dal
concepimento, i diritti della persona
“Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità
di persona”: inizia così l’Istruzione “Dignitas personae”, su alcune questioni bioetiche,
emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e presentata questa mattina
nella Sala Stampa vaticana. Il documento vuole aggiornare la “Donum vitae” pubblicata
dallo stesso dicastero nel 1987, in seguito ai grandi sviluppi raggiunti negli ultimi
20 anni dalle tecnologie biomediche. Ce ne parla Sergio Centofanti.
L’Istruzione,
approvata dal Papa, vuole esprimere “un grande sì alla vita umana” (1), per cui i
vari “no” presenti nel testo vanno visti in positivo così come vengono considerati
positivamente i “no” dell’umanità alle violazioni dei diritti umani, al razzismo,
alla schiavitù, alle discriminazioni di donne, bambini e persone malate (36). La Chiesa
– si ricorda – un secolo fa difese coraggiosamente gli operai oppressi nei loro diritti:
oggi difende “un’altra categoria di persone”, quella del concepito, “oppressa nel
diritto fondamentale alla vita” (37). La Chiesa guarda con fiducia alla ricerca scientifica
e ne riconosce l’autonomia, ma richiama tutti gli interessati a una responsabilità
etica e sociale (10). Principio fondamentale è che al frutto della generazione umana
“dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote…
si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile
di ogni essere umano innocente alla vita” (4).
Per
quanto riguarda la cura dell’infertilità, “sono da escludere tutte le tecniche di
fecondazione artificiale eterologa e … omologa che sono sostitutive dell’atto coniugale.
Sono invece ammissibili le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale
e alla sua fecondità”. Sono da incoraggiare le adozioni (12-13). Il documento ricorda
che nella fecondazione in vitro “il numero di embrioni sacrificati è altissimo”. Si
tratta di una tecnica in cui l’embrione umano viene trattato come “un semplice ammasso
di cellule”. Sono poi “sempre più frequenti i casi in cui coppie non sterili ricorrono
alle tecniche di procreazione artificiale con l’unico scopo di poter operare una selezione
genetica dei loro figli” (14-15). “La Chiesa riconosce la legittimità del desiderio
di un figlio”, ma tale desiderio “non può giustificarne la produzione”. “In realtà
si ha l’impressione che alcuni ricercatori … sembrano cedere alla logica dei soli
desideri soggettivi e alla pressione economica, tanto forte in questo campo”(16).
Tra le tecniche intrinsecamente illecite rientra anche l’ICSI (Intra Cytoplasmic Sperm
Injection), che consiste nella iniezione di un singolo spermatozoo direttamente nel
citoplasma ovocitario, perché “è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante
gesti di terze persone” (17). L’Istruzione ribadisce l’inammissibilità del congelamento
degli embrioni e dichiara inaccettabili le proposte di usare i tanti embrioni congelati
esistenti per la ricerca o per usi terapeutici o di metterli a disposizione di coppie
infertili. Problematica, anche se lodevole nelle intenzioni, appare la proposta di
una “adozione prenatale”. Si constata che ci si trova in “una situazione di ingiustizia
irreparabile”: non si intravede infatti “una via d’uscita moralmente lecita” per il
destino umano degli embrioni congelati, i quali “restano pur sempre titolari dei diritti
essenziali e quindi da tutelare giuridicamente come persone umane”. Viene dichiarata
“moralmente inaccettabile” anche “la crioconservazione di ovociti in ordine al processo
di procreazione artificiale” (18-19-20).
Parlando
di pratiche abortive, il testo fa riferimento alla cosiddetta riduzione embrionale
“per ridurre il numero di embrioni o feti presenti nel seno materno mediante la loro
diretta soppressione”: si tratta “di un aborto intenzionale selettivo”. Anche la diagnosi
pre-impiantatoria, “diversamente da altre forme di diagnosi prenatale”, “è finalizzata
di fatto ad una selezione qualitativa con la conseguente distruzione di embrioni”
con difetti o con caratteristiche non desiderate: si tratta di una “grave ed ingiusta
discriminazione che porta a non riconoscere lo statuto etico e giuridico di esseri
umani affetti da gravi patologie e disabilità” (21-22). Accanto ai mezzi contraccettivi,
sono illecite in particolare le pratiche che agiscono dopo la fecondazione quali le
tecniche intercettive, come la spirale e la pillola del giorno dopo, che intercettano
l’embrione prima del suo impianto nell’utero, e le tecniche contragestive, come la
pillola RU 486, che provocano l’eliminazione dell’embrione appena impiantato. L’uso
di tali mezzi “rientra nel peccato di aborto” e “qualora si raggiunga la certezza
di aver realizzato l’aborto” s’incorre nella “scomunica latae sententiae”, cioè automatica
(23).
In merito alla terapia genica, l’uso dell’ingegneria
genetica a scopo terapeutico, sono ammessi in linea di principio gli interventi sulle
cellule somatiche, dunque non riproduttive, i cui effetti sono limitati al singolo
individuo. Sono illeciti invece gli interventi sulle cellule germinali per l’alto
rischio di trasmissione di eventuali danni alla progenie (25-26). Il documento condanna
decisamente l’applicazione dell’ingegneria genetica per scopi non terapeutici, ovvero
per “presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genetica”: si
tratta di una pretesa ideologica di sostituirsi a Dio “nel tentativo di creare un
nuovo tipo di uomo” (27). “Intrinsecamente illecita” è anche la clonazione umana sia
riproduttiva, sia terapeutica o di ricerca. La clonazione riproduttiva instaura “una
forma di schiavitù biologica”. Ma “ancora più grave … è la clonazione cosiddetta terapeutica”
che consiste nel “creare embrioni col proposito di distruggerli” per curare un’altra
persona (28-29-30). Riguardo l’uso terapeutico delle cellule staminali, sono definite
“lecite quelle metodiche che non procurano un grave danno al soggetto da cui si estraggono”
e quindi nel caso di prelievo dai tessuti di un organismo adulto, dal sangue del cordone
ombelicale al momento del parto, dai tessuti dei feti morti di morte naturale. Gravemente
illecito invece il prelievo di cellule staminali dall’embrione umano vivente perché
ne causa la distruzione. La ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali
– afferma il documento – è stata condannata e sarà condannata dalla storia stessa,
“non solo perché priva della luce di Dio, ma anche perché priva di umanità” (31-32).
“Un’offesa alla dignità dell’essere umano” è anche la cosiddetta “clonazione ibrida”
che mescola elementi genetici umani ed animali “capaci di turbare l’identità specifica
dell’uomo” (33). L’Istruzione affronta infine la questione dell’uso di “materiale
biologico” umano di origine illecita, che va rifiutato dai ricercatori, anche se è
stato prodotto fuori dal loro centro di ricerca o si trova in commercio per “il dovere
di evitare la cooperazione al male e lo scandalo”. Il testo parla tuttavia di “responsabilità
differenziate, e ragioni gravi potrebbero essere moralmente proporzionate per giustificare
l’utilizzo del suddetto ‘materiale biologico’”, come nel caso di vaccini per bambini,
“fermo restando il dovere da parte di tutti di manifestare il proprio disaccordo al
riguardo e di chiedere che i sistemi sanitari mettano a disposizione altri tipi di
vaccini”(34-35).
“L’insegnamento morale della Chiesa
– conclude l’Istruzione – è stato talvolta accusato di contenere troppi divieti”,
ma “dietro ogni ‘no’ rifulge … un grande ‘sì’ al riconoscimento della dignità e del
valore inalienabili di ogni singolo ed irripetibile essere umano chiamato all’esistenza”
(36-37).
Molto animato in Sala Stampa vaticana, dove
l’Istruzione Dignitas personae è stata presentata, è stato il dibattito sulle varie
questioni sollevate dal documento. Molte, quindi, le domande presentate dai giornalisti
ai quattro relatori: mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, segretario della Congregazione
per la Dottrina della Fede, mons. Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia
per la Vita, il suo predecessore, mons. Elio Sgreccia, e la prof.ssa Maria Luisa Di
Pietro, professore Associato di Bioetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Roma e presidente dell’Associazione "Scienza & Vita". Il servizio di Alessandro
De Carolis:
Non “una
visione catastrofica”, ma una “lettura realistica” dei nostri tempi ha mosso nella
Chiesa tutti coloro che, nei circa sei anni di genesi del documento, hanno lavorato
alla stesura dell’Istruzione Dignitas personae. L’arcivescovo Rino Fisichella, presidente
della Pontificia Accademia per la Vita, ha subito chiarito in conferenza stampa l’orizzonte
ideale che ha portato all’ultimo aggiornamento del Magistero nel campo della bioetica.
Il presule ha detto in modo spassionato di attendersi reazioni diverse ai contenuti
dell’Istruzione - da un atteggiamento di disinteresse alla “facile derisione”, fino
alla consueta accusa di “buio oscurantismo che impedisce il progresso e la libera
ricerca”. In realtà, ha affermato mons. Fisichella, tutto ciò che tocca senza rispettarla
l’essenza della dignità della persona, specie se non nata e quindi più indifesa, non
è altro che una nuova forma di schiavitù, “schiavitù biologica”, che il documento
vaticano intende stigmatizzare:
“Questo comportamento,
che ben poco ha dello scientifico, non trova giustificazione alcuna se non nell’esercizio
del puro potere del più forte sugli altri. Una simile sperimentazione va chiamata
con il suo giusto nome e non dovrà essere la Chiesa ad avere timore nel doverne denunciare
i pericoli”.
Poco prima mons. Ladaria Ferrer era
intervenuto, nel presentare le linee generali del documento, per chiarire che le prese
di posizione della Chiesa, anche nei numerosi divieti nei confronti di tecniche o
pratiche biomediche ritenute a vario titolo illecite, non sono dei divieti ciechi
ma pensati per formare le coscienze:
“Dietro ogni
‘no’ rifulge, nella fatica del discernimento tra il bene e il male, un grande ‘sì’
al riconoscimento della dignità e del valore inalienabili di ogni singolo ed irripetibile
essere umano chiamato all’esistenza”.
Molte le domande
poste ai relatori dai numerosi giornalisti presenti in Sala Stampa. Le prime hanno
insistito sulla destinazione degli embrioni già congelati conservati in laboratorio
e, in particolare su una loro eventuale cessione a coppie sterili per la cosiddetta
“adozione prenatale”. Premesso che, ha spiegato la prof.ssa Di Pietro, lo scongelamento
degli embrioni ne provoca la morte in larga percentuale e il danneggiamento in un’altra,
c’è prima di tutto per la Chiesa il limite etico per il quale tale cessione si configurerebbe
come una inaccettabile forma di procreazione artificiale, condotta al di fuori cioè
dell’atto coniugale. Dunque, ha spiegato mons. Sgreccia:
“Il
congelamento non si deve fare, perché si tratta di uno di quei fatti che non hanno
rimedio. Una volta compiuto, il correggerlo implica un altro errore, un altro misfatto.
E’ un vicolo cieco per uscire dal quale c’è soltanto una cosa illecita da fare: sopprimere
l’embrione, sperimentare sull’embrione, farlo passare per uteri diversi da quelli
che rappresentano il suo patrimonio genetico - il padre e la madre… Non è detto che,
per fare un’opera buona nell’intenzione, si possa usare qualsiasi mezzo”.
Sull’aspetto
filosofico-etico del documento sono stati sollecitati più volte mons. Ladaria e mons.
Fischella, in particolare sul riconoscimento della dignità di persona dell’embrione.
Dunque, hanno domandato i giornalisti, con ciò la Chiesa intende dire che l’embrione
“è” una persona, con tutte le ricadute e le implicazioni giuridiche che ciò comporta,
rispetto al dibattito molto attuale in diversi Paesi? Ecco la risposta di mons. Fischella:
“Ogni
persona ha una propria dignità e quindi implicitamente, all’embrione viene riconosciuta
la stessa dignità della persona: che non è un escamotage, è una necessità per poter
esprimere l’identità propria dell’embrione che non è un po’ di muffa – come qualcuno
nel passato aveva, in maniera molto impropria e imprudente, definito – ma essendo
una vita umana, ha necessariamente l’esigenza di essere riconosciuta nella sua dignità”.
Tra
le altre questioni sottoposte dai giornalisti alle quattro personalità presenti in
Sala Stampa, anche quella della cosiddetta “ibridazione”, tecnica che consente l’unione
di gameti umani a gameti animali a scopi terapeutici. Al fondo, ha spiegato mons.
Sgreccia, c’è un principio di preservazione dell’integrità del patrimonio umano, ma
anche di salute pubblica per il rischio di malattie che l’unione di patrimoni genetici
così diversi potrebbe generare nell’essere umano.
Ribadita,
inoltre, anche la contrarietà della Chiesa alla produzione di vaccini ricavati da
materiale organico di feti abortiti, anche se - come accade negli Stati Uniti - ne
è consentito l’uso di quelli in commercio qualora non fossero disponibili trattamenti
alternativi. Mons. Fisichella ha poi concluso che la Pontificia Accademia per la Vita
non ha allo studio un documento sul tema del fine vita, ricordando comunque che anni
fa la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva già scritto sulla eutanasia''.