Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, nel messaggio rivolto ieri ai
fedeli e alle autorità cittadine nella solennità dell’Immacolata Concezione, ha indicato
i mali del capoluogo partenopeo: “Abbiamo imparato, fin troppo bene, che l’intreccio
dei suoi mali – ha scritto il porporato - è alla fine il suo male peggiore, pur se
la matrice di questa deriva è intrisa di odio e di prepotenza e si chiama violenza,
sopraffazione, camorra”. “Ma – ha aggiunto il cardinale - si chiama anche inerzia,
inefficienza, inadeguatezza e illegalità”. Secondo l’arcivescovo di Napoli, “le trame
di questi mali non solo distruggono vite umane, ma offendono la città, la feriscono,
fiaccano le attese della comunità”. Aggrediscono anche “il terreno di ogni resistenza,
minando ogni legittima speranza”: così – si legge nel testo – “tutto sembra oscurato
negli antri di un percorso infido e velenoso che non scorre nei sotterranei della
città, ma viene in superficie, quasi con arroganza e impudenza, ne guasta l’aria,
la prende alla gola senza lasciarla respirare”. “Si può morire – ha spiegato il cardinale
– anche perché non si ama veramente la città, perché non si prende coscienza dei limiti
oggettivi, non si riesce a trovare la forza per reagire”; si soccombe anche perché
“non si sopporta che la dignità di un uomo diventi carta straccia”. Si può morire
– ha proseguito l’arcivescovo di Napoli – perché si vede “una città disorientata,
quasi smarrita: si resta senza forze” perché cercando di guardare oltre, non si riesce
a difendersi “dalle ombre che oscurano le città”. “I nostri occhi – ha scritto il
cardinale Sepe – sono stanchi di vedere la violenza che non muore, le tante illegittimità
che condizionano la nostra vita quotidiana, le miserie umane che cercano di farsi
largo, le difficoltà di tante famiglie, le povertà vecchie e nuove che aumentano sempre
di più e indeboliscono la stessa dignità dell’uomo”. “Gli occhi non bastano perché
Napoli in questo momento ha più bisogno del cuore”. Ciò che Napoli non può sopportare
– ha avvertito il porporato – è “il peso dell’egoismo, dell’individualismo, del pessimismo,
dell’indifferenza”. “Napoli – ha affermato – è diventata una drammatica scelta di
campo: chi non mette in gioco tutto ciò che porta e parte dal cuore – il coraggio,
la fede, una forma cristiana ma anche laica di speranza – è fuori dalla partita”.
“Questa città – ha concluso - non può accontentarsi del poco” perché non basterebbe:
“C’è un impegno a tempo pieno, senza rischio di nessuna forma di precariato, da assolvere
prima di ogni altro”. Tale impegno – ha detto il cardinale rivolgendosi ai giovani
napoletani – è di “voler bene alla città”, avendone cura e dandole affetto come a
qualcosa di proprio. (A.L.)