Appello dell'arcivescovo di Yangon a non dimenticare le sofferenze del Myanmar
“Non dimenticate la popolazione del Myanmar”: è l’appello lanciato dall’arcivescovo
di Yangon, Charles Maung Bo, in questi giorni a Roma nella sede della Caritas Internationalis
per fare il punto sulla ricostruzione dopo il passaggio del ciclone Nargis, nel maggio
scorso, che ha provocato circa 200 mila morti e 2 milioni di sfollati. La situazione
è aggravata dall’isolamento del Paese confermato anche dal segretario generale dell'Onu
Ban Ki-moon che si è detto deluso davanti al fallimento degli sforzi volti a promuovere
la democrazia in Birmania escludendo una sua visita nel Paese asiatico. Ma ascoltiamo
l’arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, al microfono di Liadan O'Connor: R. – What Caritas
Internationalis is helping us through the Caritas Australia … La Caritas
Internationalis ci sta aiutando tramite la Caritas australiana, la Chiesa ci aiuta
nelle aree colpite. In pratica, tutti i lavori vengono fatti attraverso le organizzazioni
parrocchiali. Quindi, questo aiuto passa attraverso il sistema della Chiesa cattolica,
attraverso i sacerdoti delle parrocchie e i religiosi, per la maggior parte del tempo
occupati a portare aiuti. Ci sono ancora molte cose da fare per aiutare la gente.
In base ai nostri progetti, ci vorranno ancora due o tre anni per ricostruire la società:
non lavoriamo soltanto per i cattolici, ma aiutiamo anche gli altri. Aiutiamo anche
molti buddisti … D. – Parliamo dei rapporti tra i monaci buddisti
e la Chiesa cattolica: il dialogo interreligioso è molto intenso? C’è collaborazione
tra di voi? R. – Especially, after the Nargis effect… In
effetti, dopo il ciclone Nargis, molti dei nostri programmi sono messi in pratica
dai monaci. Per quanto riguarda i nostri rapporti, questi sono pacifici, amichevoli,
a livello personale. Ma a livello ufficiale di dialogo interreligioso, non c’è grande
attività. Manteniamo un basso profilo, perché il governo, nel nostro Paese, non è
molto favorevole al fatto che gente di fede diversa si ritrovi insieme. Tuttavia,
tra i preti cattolici ed i monaci buddisti c’è davvero un’atmosfera sana e amichevole. D.
– Quali sono, secondo lei, le sfide che la Chiesa cattolica e i cattolici si trovano
ad affrontare in Myanmar? R. – They consider us as a foreign
religion ... Ci considerano seguaci di una religione straniera: questa è
una delle sfide che dobbiamo affrontare. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che
dobbiamo cercare di inserire la nostra fede nella cultura del Paese: anche questa
è una delle sfide. Un’altra cosa da dire è che, sebbene ci piacerebbe fare molto nel
campo dell’educazione o della sanità, le risorse sono molto limitate e c’è molto controllo
da parte del governo. E’ veramente duro e difficile per noi, perciò, attuare programmi
pieni e liberi, come vorremmo fare. Siamo molto limitati. Nonostante ciò, cerchiamo
di fare del nostro meglio.