Negli USA bruciati a novembre oltre 500 mila posti di lavoro
Mai così tanti posti di lavoro persi in un solo mese dal dicembre 1974: l'emorragia
occupazionale negli Usa non si ferma e in novembre sono stati bruciati 533.000 posti,
il massimo da 34 anni. Il servizio di Fausta Speranza: Tasso
di disoccupazione al 6,7%, livello più alto da 15 anni. Il presidente uscente Bush
ammette che gli Usa sono in recessione. Il presidente eletto Obama annuncia “misure
urgenti”, sottolineando che la situazione “probabilmente prima di migliorare peggiorerà”.
Le prospettive, infatti, non sono rosee: gli analisti si attendono una forte contrazione
del Pil nel quarto trimestre dell'ordine del 5% e ritengono che anche il probabile
ulteriore taglio del costo del denaro da parte della Federal Reserve possa non avere
gli effetti sperati. Intanto le tre grandi case automobilistiche in crisi – General
Motors, Ford e Chrysler - stanno ‘mendicando’ aiuti miliardari ad un Congresso ancora
scettico. In questo senso, l'impennata della disoccupazione americana, che affonda
le Borse, potrebbe giocare a favore delle tre aziende di Detroit. Senza aiuti, infatti,
Gm e Chrysler potrebbero fallire entro l'anno e le conseguenze sull'economia rischierebbero
di essere catastrofiche. Ma questa crisi partita dal tracollo dei mutui subprime,
c’è stata ben raccontata? Erano immaginabili questi disastrosi effetti? Lo chiediamo
all’economista Alberto Quadrio Curzio: R.
– Ben pochi analisti avevano previsto, sia pure in termini approssimati, che la crisi
sarebbe stata così grave. La maggioranza certamente riteneva che sarebbe stata una
recessione marcata, ma non certo una crisi di tal portata. La mia impressione è che
oggi come oggi, la maggior parte, sia dei politici che degli analisti, stia viaggiando
un po’ a vista e non abbia una percezione completa di ciò che sta accadendo. Non vorrei
pertanto che, soprattutto dagli Stati Uniti, ci pervenissero ulteriori cattive notizie.D.
– Alcuni rappresentanti democratici del Congresso, in questi giorni, premono molto
affinché Obama abbia un ruolo più incisivo sulle sfide economiche che si stanno presentando.
Prima del 20 gennaio, Barack Obama è solo un presidente eletto: sarà in carica dal
20 gennaio in poi. In ogni caso, che cosa potrà fare Obama di fronte a questa crisi? R.
– Mi pare che la proposta dei parlamentari democratici sia del tutto condivisibile.
Prima Obama prende il posto di Bush, che non è certo stato un presidente verso il
quale avremo rimpianti, meglio è. Un Paese che in novembre brucia 533 mila posti di
lavoro, e che dall’inizio della crisi ne ha bruciati due milioni, ha bisogno di un
intervento molto forte. E credo che Obama lo farà, soprattutto con una spesa pubblica
significativa. Ciò detto, gli Stati Uniti hanno però bisogno di rivedere un po’ tutta
la propria struttura, risparmiando di più. D. – Vertice a Londra,
la prossima settimana. Con il premier britannico Gordon Brown ci sarà la Francia con
Sarkozy e il presidente della Commissione europea, Barroso. Non ci sarà la Merkel,
cancelliera tedesca. Non è un vertice troppo limitato? R. –
Mi rammarica molto questo vertice sostanzialmente a due; credo che sarebbe stato molto
meglio un vertice a quattro, come quello che si tenne agli inizi di ottobre, con Francia,
Italia, Germania e Regno Unito. Senza una coesione di questi quattro Paesi, soprattutto
dei tre continentali, l’Europa farà molta fatica a riprendersi. D.
– E’ il settore automobilistico quello che divide l’Europa in questo momento? Cioè,
decidere se fare o no interventi, in considerazione del fatto che gli Stati Uniti
potrebbero fare significativi interventi per il loro settore automobilistico? R.
– Io penso che l’Europa sbagli nel non prendere una decisione unitaria con un piano
finanziato da titoli di debito pubblico europei. Quanto al settore automobilistico,
credo che il solo modo per aiutarlo sia di produrre delle norme che impongano la sostituzione
di veicoli vecchi ed inquinanti; a tal fine, ovviamente, va sostenuta la domanda con
incentivi fiscali.