Verso la conclusione la Conferenza internazionale di Doha sul finanziamento allo sviluppo
Prosegue a Doha, in Qatar, la Conferenza internazionale promossa dall'Onu sul finanziamento
allo sviluppo. Al forum partecipano circa 300 delegati, ma mancano i rappresentanti
delle grandi istituzioni finanziarie. Al centro dei lavori, che si concluderanno domani,
la cooperazione internazionale per la lotta alla povertà che continua a crescere nel
mondo nonostante gli impegni degli Stati a ridurla: entro il 2009 - secondo gli ultimi
dati - ci saranno 40 milioni di nuovi poveri. Il segretario generale dell’Onu Ban
Ki-moon ha invitato a porre fine all’emergenza alimentare per garantire stabilità.
Nel corso della conferenza, Germania e Pakistan hanno siglato un accordo per trasformare
il debito di Islamabad in finanziamenti alla sanità. Sempre a Doha, il delegato del
Consiglio Ecumenico delle Chiese ha lanciato un accorato appello a riformare il sistema
economico e finanziario mondiale oggi "basato sull'ingiustizia", ad alleviare il peso
del debito estero e a rilanciare gli aiuti allo sviluppo. Stefano Leszczynski
ha chiesto all’economista Riccardo Moro quanto siano effettivamente efficaci
nel combattere la povertà eventi come quello in corso a Doha:
R. – Per
governare processi che sono per definizione transnazionali è necessario avere una
sede che abbia anche una legittimità; una riunione di pochi non ha la legittimità
per rappresentare tutti, una riunione in cui ci sono tutti, convocati in ambito di
Nazioni Unite, evidentemente ha una legittimità piena. Detto questo, guardando con
un po’ di pragmatismo, è chiaro che consessi più piccoli magari hanno tempi più veloci
per raggiungere posizioni comuni, però non v’è dubbio che, né sedi come il G8, né
sedi come il G20 hanno dimostrato maggiore efficacia.
D.
– Emblematica la frase che ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, proprio
in occasione di questa conferenza: “se si fossero stanziati o spesi una minima parte
delle migliaia di miliardi che sono stati stanziati per arginare la crisi finanziaria,
probabilmente sarebbe stato facile intervenire sui problemi della povertà e del sottosviluppo”…
R.
– Ma questo non può che essere così, anzi, è così senz’altro. Basta fare due conti:
da un lato, si calcola che ciò che è necessario per raggiungere gli obiettivi di sviluppo
del Millennio siano grosso modo 100 miliardi di dollari l’anno, fino al 2015; dall’altro
abbiamo il piano finanziario del governo americano che è stato prima di 700 miliardi
e adesso ne hanno varato un altro di 800 miliardi; gli europei hanno impegni dello
stesso ordine di grandezza. Non v’è dubbio che per intervenire sulla crisi finanziaria
siano stati messi a disposizione molti più soldi di quelli che servirebbero per il
Sud del mondo.
D. – Un’altra delle grandi questioni
che è stata sollevata, questa volta, dalla Santa Sede, nell’ambito di Doha è questa:
è possibile un’etica, in economia?
R. – Secondo me,
sì. E’ certamente una questione legata all’etica, cioè all’idea di giustizia, il fatto
che tutti concorrano alla causa comune in ragione delle proprie capacità. Allora,
questo varrebbe dal punto di vista del contributo, dell’aiuto allo sviluppo e poi
in ricaduta per la fiscalità locale; ma varrebbe anche per regolamentare il commercio.
Poi c’è una dimensione che riguarda anche una questione diversa da quella dei rapporti
tra i Paesi: l’economia è una delle dimensioni della vita sociale, delle relazioni
della vita sociale, e non può essere avulsa da ciò che informa il resto delle relazioni.