Giornata di studio sulla Parola nella Liturgia organizzata dalla Congregazione per
il Culto Divino
Per i cristiani la Parola di Dio viene comunicata principalmente attraverso la Liturgia,
che la vivifica e l’attualizza. Altrimenti la Parola può restare un testo scritto,
a volte lontano e impersonale. Lo ha ricordato stamane il cardinale Albert Vanhoye
durante l’annuale Giornata di Studio organizzata dalla Congregazione per il Culto
Divino e la Disciplina dei Sacramenti dedicata quest’anno al tema “La Parola di Dio
nella Liturgia”, argomento che trae spunto dal recente Sinodo. Ma come aiutare i fedeli
a valorizzare la Parola in ambito liturgico? Risponde, al microfono di Fabio Colagrande,
l’arcivescovo Albert Malcolm Ranjith, segretario della Congregazione per il
Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:
R. – Ci devono
essere stimoli per questo dialogo tra il fedele e la Parola di Dio. Quando partecipa,
soprattutto nella liturgia, il cuore del fedele diventa più aperto verso un ascolto
della Parola di Dio, non come una cosa teorica, ma come un appello del Signore al
suo cuore, per una vita più originale e autentica. Perciò la liturgia è quel campo
in cui alla Parola di Dio viene data una certa vivacità, un certo spirito di dialogo
interno, nel cuore dell’uomo. E’ per questo che noi vediamo nella liturgia la possibilità
che la Parola di Dio non diventi semplicemente un suono o un concetto, ma diventi
una persona, la persona del Figlio di Dio, Verbo incarnato.
D.
– Anche il clero deve fare di più per valorizzare la Parola di Dio in ambito liturgico?
R.
– Certamente, perchè il clero deve essere la fonte dell’energia spirituale, il locus
dell’incontro tra Dio e l’uomo, attraverso questo dialogo della Parola del Signore
che parla al cuore dell’uomo. Il sacerdote, come celebrante della liturgia, deve essere
lo stimolo centrale, la persona che in un certo senso facilita questo incontro. E
per questo, il sacerdote, prima di tutto, deve inserirsi in quello spirito di dialogo
e poi facilitare questo incontro tra il Signore e il fedele, nella liturgia.
D.
– Vogliamo accennare brevemente a quali sono le norme che riguardano le traduzioni
della Sacra Scrittura in ambito liturgico?
R. – Sì,
la Santa Sede ha insistito che la traduzione della Parola di Dio nella liturgia deve
avere una sua forma speciale: non è una traduzione qualsiasi, una traduzione per lo
studio, per esempio, per l’esegesi; è invece una traduzione che alimenta la fede,
facilita quel dialogo di cui io parlavo. Allora, nella liturgia, la Parola di Dio
deve essere qualcosa di vivente. Ma per facilitare tutto questo, ci deve essere una
traduzione più adatta a questo dialogo, non semplicemente adatta perché parla il linguaggio
moderno, il linguaggio banale, il linguaggio del giorno, della vita giornaliera, ma
un linguaggio soprattutto spirituale. Per questo le traduzioni della Bibbia o della
Parola di Dio nelle lingue locali devono avere una sfumatura differente per la liturgia
e per questo la Congregazione ha le sue norme. Per esempio, il documento “Liturgiam
authenticam”dà alcuni di questi principi, per assicurare che
questo testo liturgico della Parola di Dio sia qualcosa di più elevato.