Mons. Ravasi: Galileo, patrono ideale per un dialogo tra scienza e fede
"Galileo Galilei era un uomo di scienza che coltivava con amore la sua fede e le sue
profonde convinzioni religiose". Lo ha ricordato ieri il cardinale segretario di Stato,
Tarcisio Bertone, intervenendo al convegno “La Scienza 400 anni dopo Galileo Galilei”,
organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura assieme a Finmeccanica, che ha
così celebrato il suo 60.mo anniversario e l’imminente Anno dell’Astronomia. Il porporato
ha sottolineato l’odierno divario tra gli sviluppi della ricerca scientifica e la
disponibilità di metodi di valutazione etica adeguati. "Perciò s'impone – ha ricordato
- un'attenta riflessione sulla natura, le finalità e i limiti della ricerca tecnica
e scientifica". Dunque, un incontro per rinnovare il rapporto tra scienza e fede nel
nome di Galileo, come spiega uno dei relatori, l’arcivescovo Gianfranco Ravasi,
presidente del dicastero vaticano per la Cultura, al microfono di Fabio Colagrande:
R.
– Io vorrei quasi usare questa espressione paradossale che l’ombra di Galileo può
essere anche un’ombra luminosa, perché all’interno della sua ricerca è stato dato
un contributo fondamentale per poter operare una distinzione tra i metodi propri della
scienza e i metodi della teologia. Leggendo i suoi testi si vede chiaramente come
Galileo offra un percorso anche alla teologia, perché sia capace di entrare nell’interno
del suo orizzonte proprio e al tempo stesso si delinea l’ambito che è proprio della
scienza. Quindi, una certa ombra deve ancora proiettarsi, ma in questo caso è un’ombra
positiva, al di là del fatto che l’interpretazione della sua vicenda è passibile di
prospettive diverse e quindi anche di echi differenti. Dopo tutto, non dimentichiamo
mai che anche lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto in questo caso gli errori
che sono stati compiuti in quel momento. E, dall’altra parte, però, bisogna dire che
Galileo può diventare per certi versi anche ora il patrono ideale per un dialogo tra
scienza e fede.
D. – Proprio per permettere un rilancio
di questo dialogo, la teologia chiede oggi alla scienza, alla filosofia, che le sia
riconosciuta un’autorità intellettuale...
R. – Questo
è proprio un punto di partenza fondamentale, perché la teologia ha un suo percorso
intellettuale che viene condotto con rigore, con delle caratteristiche proprie. Questo
percorso intellettuale, naturalmente, ha anche una dimensione ulteriore, ma ha come
base iniziale indubbiamente la ricerca con la ragione. “Intellectum valde ama”, invitava
Agostino: "Ama profondamente l’intelligenza, quando tu devi ricercare Dio". Quindi,
è necessario che la scienza guardi alla teologia, guardi anche all’arte, alla poesia
come strade che hanno delle logiche proprie, ma che hanno una loro dignità e che permettono
sia alla realtà dell’uomo, sia alla realtà del cosmo di avere un’interpretazione ulteriore
rispetto a quella immediata e sperimentale che dà la scienza.
D.
– A quali condizioni oggi, mons. Ravasi, ci possono essere punti di interazione tra
scienza e fede?
R. – I punti di interazione sono
sempre da cercare, dopo aver affermato chiaramente le proprie frontiere. Quindi è
indispensabile che l’identità della scienza e l’identità della teologia siano reciprocamente
riconosciute. Una volta operato questo, ci si accorge che però esistono dei punti
di contatto. Noi teologi, come gli scienziati, abbiamo lo stesso oggetto nella ricerca,
che può essere appunto la figura umana oppure può essere la realtà cosmica, naturalmente
da prospettive differenti. Questo incontrarci sullo stesso oggetto fa sì che alcune
volte abbiamo bisogno di ascoltarci reciprocamente. Dobbiamo anche riconoscere che
possano anche scoccare qualche volta delle scintille ed è indispensabile che anche
la dialettica faccia parte di questo dialogo.
D.
– Lei ha anche lanciato un appello in qualche modo ad evitare da entrambe le parti
gli integrismi...
R. – Perché alle spalle abbiamo,
da un lato, in passato soprattutto, una certa teologia che usava dati scientifici
con finalità di altro genere, quasi perimetrando il lavoro dello scienziato o finalizzandolo
ai propri interessi. Dall’altra parte, abbiamo ancora, talora, alcuni scienziati i
quali guardando la teologia la considerano quasi fosse una sorta di reperto del paleolitico
intellettuale del passato. E tutto questo, evidentemente, deve ormai cessare.