Annunciare Cristo attraverso la bellezza: intervista con mons. Ravasi
“Un nuovo umanesimo cristiano che sappia percorrere la via dell’autentica bellezza”.
E’ l’invito di Benedetto XVI contenuto nel messaggio di ieri al presidente del Pontificio
Consiglio della Cultura, l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, per la tredicesima seduta
pubblica delle sette Pontificie Accademie. Il Papa ha auspicato anche “un rinnovato
dialogo tra estetica ed etica, tra bellezza, verità e bontà”, concetti sui quali riflette
al microfono di Fabio Colagrande lo stesso mons. Gianfranco Ravasi: R.–
Ci sono almeno due provocazioni che quasi si possono raccogliere tra le tante suggestioni
che questo messaggio comprende. Da un lato, è il ritornare ancora a considerare la
bellezza come una grande via di conoscenza: la bellezza è sorella della verità e non
staccata come alcuni sistemi di pensiero credevano. E proprio perché è ricerca tendenzialmente
verso l’infinito diventa anche ricerca del trascendente. L’artista cerca di comprimere
nello stampo freddo di un’opera o di una poesia di pochi versi l’infinito e l’eterno
quindi questa è una vera e propria via per tentare di ritrovare la verità suprema,
di avvicinarci il più possibile al Mistero. Dall’altra parte, la provocazione ulteriore
è invece di ordine più concreto: tentare di ristabilire ancora un dialogo fecondo
anche con l’arte contemporanea, con gli orizzonti attuali nei quali purtroppo non
c’è più la ricerca di due caratteristiche fondamentali dell’arte: la bellezza e il
messaggio. L’arte di oggi diventa semplicemente una sorta di epifania del reale in
quanto tale. Ecco, invece, il desiderio: capire se sia possibile ancora stabilire
una comunione tra fede e arte. Anche l’arte potrebbe attraverso i grandi simboli delle
religioni, attraverso le grandi narrazioni, attraverso le grandi figure, attraverso
le grandi domande, ritrovare ancora la possibilità di coniugare bellezza e significato.
D. – Secondo lei, per ristabilire questo dialogo,
quale sforzo deve fare l’arte e quale sforzo deve forse fare la Chiesa?
R.
– La Chiesa deve innanzitutto cercare di comprendere che l’arte contemporanea ha una
sua grammatica, ha una sua sintassi e ha una sua stilistica, cioè ha un suo modo di
esprimersi nuovo. L’arte, la cultura in genere, deve riuscire a ritrovare ancora,
in quella specie di deserto che è la società contemporanea, questi grandi segni, queste
grandi idee, che inquietano, ma anche arricchiscono immensamente il conoscere dell’uomo.
D.
– Il Papa ha voluto ricordare come il recente Sinodo ha riproposto la via della bellezza
per tornare alla Parola...
R. – Ha aggiunto anche
un paio di aggettivi, dicendo che questa è forse la via più affascinante e la via
più coinvolgente per poter ritornare ancora a Dio: la via della bellezza. Io penso,
sulla base del Sinodo dei vescovi, ci siano almeno due strade. La prima è indicata
proprio dal testo stesso del messaggio, il quale è costruito su quattro simboli: il
simbolo della voce, il simbolo del volto, il simbolo della casa e il simbolo della
strada. Ritorniamo ancora, anche nell’interno della nostra comunicazione religiosa,
nel messaggio religioso, ai simboli. Ritorniamo alle narrazioni, ritorniamo cioè ad
un annunciare Dio in modo bello. Secondo itinerario da seguire: la Bibbia. Il testo
biblico è un testo letterariamente significativo, ha condizionato la storia della
cultura dell’Occidente, è come si suol dire “il grande codice”. E’ l’alfabeto colorato
della speranza nella quale hanno intinto il loro pennello per secoli pittori, come
diceva Chagall. Ritorniamo ancora alla Bibbia perché senz’altro deve essere letta
come “lampada per i passi nel cammino della vita” ed è in questo caso un simbolo,
ma al tempo stesso è una grande testimonianza di bellezza, che deve essere ancora
riproposta non soltanto all’orizzonte dei credenti ma all’intero orizzonte della cultura
contemporanea.