Il martirio è il più pieno esercizio della libertà umana e l’atto supremo dell’amore.
Così il card. Saraiva Martins a Nagasaki, al rito di beatificazione di 188 martiri
giapponesi
“La fedeltà di tanti martiri, di ogni età e condizione, nella diversità di luoghi
e tempi, è segno della dottrina vitale della Chiesa, giacché il martirio è il più
pieno esercizio della libertà umana e l’atto supremo dell’amore”. Con queste parole
il cardinale José Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause
dei Santi, ha presieduto questa mattina a Nagasaki, in Giappone, il rito di beatificazione
di Pietro Kibe, sacerdote professo della Compagnia di Gesù, e di 187 compagni martiri:
sacerdoti, religiosi e laici, che persero la vita tra il 1603 e il 1639, e che ieri
sono stati ricordati dal Papa all’Angelus. Sul messaggio che i 188 martiri hanno lasciato
al Giappone e al mondo, Roberto Piermarini ha intervistato proprio il rappresentante
di Benedetto XVI alla celebrazione, il cardinale Saraiva Martins:
La Chiesa
cattolica del Giappone guarda, dunque, ai martiri come a compagni di fede per il futuro.
Lo spiega l’arcivescovo di Nagasaki, mons. Joseph Mitsuaki Takami, intervistato da
Davide Dionisi:
R. – Potrebbe
essere un punto di partenza, ripartenza, per l’evangelizzazione e per rinnovare la
nostra coscienza, forse, come cristiani. Ci hanno dato un grande messaggio: la fede,
l’atteggiamento verso gli altri, la pace, la libertà di religione.
D. –
Come viene vista dalle altre comunità religiose civili la beatificazione di martiri
cristiani?
R. – Adesso sono molto interessati a sapere; questa beatificazione
può essere anche un’occasione per noi, per la Chiesa del Giappone, di far sapere a
loro questa nostra fede, il nostro messaggio che abbiamo per la società giapponese.
Possiamo far sapere agli altri giapponesi che ci sono valori non mondani ma eterni,
che i martiri hanno potuto per questo offrire le loro vite. Nella società giapponese,
come nelle altre società, c’è tanta gente che vive un po’ troppo egoisticamente.
D.
– Possiamo dire che pure nella drammaticità di quegli eventi, la loro testimonianza
è un patrimonio che arricchisce il Paese?
D. – Non è solo questa beatificazione
che può fare questo, ma tutti noi cristiani giapponesi dobbiamo fare più sforzi per
arricchire il nostro Paese, portando il nostro patrimonio cristiano, dando la nostra
testimonianza. Dobbiamo continuare, sempre.
Concorda il vescovo di Takamatsu,
mons. Osamu Mizobe, presidente della Commissione dei vescovi giapponesi per la beatificazione
dei 188 martiri, raggiunto telefonicamente da Pietro Cocco:
R. – Questi martiri
danno una lezione: vivere con la fede, vivere con personalità, e morire; dunque, da
una parte, dare un messaggio alla società giapponese di oggi, dall’altra parte, alla
Chiesa cattolica. Questa potrebbe essere l’occasione di un rinnovamento spirituale
della Chiesa giapponese.
D. – Come viene vista dalle altre comunità religiose
e civili in Giappone questa beatificazione?
R. – In genere, molto favorevole.
D.
– Ma a cosa fu dovuto questo periodo così doloroso e drammatico della Chiesa cattolica
in Giappone?
R. – Il problema principale della persecuzione è questo: la
religione cristiana ha insistito nell’affermare che Dio è l’unico creatore, e lo Stato
giapponese non ammetteva questo.
D. – Mons. Mizobe, la beatificazione riguarda
188 persone; c’è padre Kibe, un padre gesuita, con altri tre confratelli, un padre
agostiniano; gli altri sono tutti quanti laici…
R. – Nello scegliere questi
martiri, noi ci siamo basati su quattro criteri. Il primo è questo: per i giapponesi,
per la vita cattolica del Giappone. Il secondo è: fino ad adesso tutti questi santi
beati sono stati uomini, allora questa volta abbiamo preso in considerazione le donne,
i bambini. Il terzo è: 400 anni fa la Chiesa cattolica si è espansa per tutto il Giappone,
allora abbiamo preferito scegliere quasi tutte le diocesi. Poi, il quarto criterio
è che sono quattro sacerdoti, che sono ben noti, conosciuti, però ci sono tanti altri
sacerdoti martiri.