Giornata mondiale della televisione: intervista con mons. Viganò
Incoraggiare gli scambi di programmi televisivi che si concentrano su temi come la
pace, la sicurezza, lo sviluppo economico e sociale ed il potenziamento degli scambi
culturali. E’ la priorità indicata dall’ONU in occasione della “Giornata mondiale
della televisione”. La comunicazione televisiva dovrebbe anche essere capace di trasmettere
valori e di diffondere una conoscenza delle diverse culture. Sul significato di questa
giornata si sofferma, al microfono di Federica Andolfi, mons. Dario Edoardo
Viganò, responsabile del settore spettacolo e cultura della Conferenza episcopale
italiana:
R. - Il senso
di questa Giornata è che finalmente si guarda alla televisione ma mettendo al centro
i fruitori, quindi è un modo che ci permette di riflettere sulle relazioni infrafamiliari,
sul modo di consumare i prodotti cosiddetti culturali a partire, appunto, dalla televisione. D.
- Attraverso la comunicazione televisiva, è ancora possibile favorire la diffusione
di valori ed ideali forti come la pace o valorizzare gli scambi culturali? R.
- Ci vuole un gruppo di persone - management, manager, autori - che siano persone
abitate da questi valori, perché se io avessi l’80 per cento degli autori delle trasmissioni
televisive capaci di scrivere dei programmi di intrattenimento, a partire da una visione
cristiana della vita, certo che la televisione sarebbe in grado di veicolare dei valori.
Diversamente, quando la televisione è abitata da logiche diverse, che sono le logiche
meramente commerciali, anche se gli autori avessero qualche barlume di riferimento
valoriale ma avessero una personalità fragile, certo, avremmo una televisione incapace
di comunicare dei valori. Diversi sono gli scambi culturali, la conoscenza di culture
diverse, di modalità religiose differenti: è possibile farlo, certo, con prodotto
di fiction di qualità. D. - Tra i diversi mezzi di comunicazione,
quale, secondo lei, è il più efficace e quale è capace di influenzare maggiormente
gli utenti? R. - Non si può pensare che la televisione influisca
sulla persona tout court, nel senso che lo spettatore non è una parte di una
massa acritica ma è una persona che è dentro alcune relazioni sociali. Certamente,
devo dire che la rete - e il Papa almeno nel tema della Giornata mondiale delle comunicazioni
sociali lo ha messo in evidenza - è un medium molto forte per un segmento di
popolazione che è quello giovanile. I media, certamente, sono un fattore importante
nella società e nel comportamento di una persona, non sono l’unico, e poi molto spesso
si intersecano, si incrociano, si sovrappongono. D. - Quindi,
la televisione ancora ha un ruolo così determinante nella comunicazione nonostante
l’evoluzione degli altri canali informativi, appunto, come ad esempio, internet? R.
- Per un pubblico adulto e un po’ distratto, credo di sì, non ad esempio gli adolescenti
che sono, tra le altre cose, attratti da altre iniziative di socializzazione, dallo
sport ad altre esperienze, oppure di socializzazione sulla rete. D.
- Nella società di oggi, quale messaggio è auspicabile che la televisione lasci? R.
- Affidiamo la televisione alla sua patrona, a Santa Chiara, perché appunto, in qualche
modo, l’immagine non si consumi in se stessa ma sappia sempre rimandare, evocare,
un mistero più grande di noi, sia in chi la guarda, sia in chi la fa.