Il cardinale Cordes: i beni materiali nella Chiesa devono servire la causa dell'evangelizzazione
E’ da poco rientrato a Roma dagli Stati Uniti, il cardinale Paul Josef Cordes,
presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, il dicastero vaticano incaricato
di promuovere l’impegno caritativo della Chiesa. Il porporato ha incontrato i vescovi
statunitensi riuniti a Baltimora per la loro Assemblea plenaria, ha tenuto due conferenze
sugli elementi teologici della prima enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est
ed ha avuto un incontro con una cinquantina di vescovi sul tema della carità negli
Stati Uniti. Al microfono di Roberto Piermarini, il cardinale Cordes ha spiegato
qual è stato lo scopo della sua visita:
R. - Questa
iniziativa è nata perché l’enciclica del Papa Deus caritas est ha rappresentato
una forte implicazione per i vescovi in tutto l’ambito caritativo. Ho voluto sottolineare
questo aspetto e richiamare i vescovi alla loro responsabilità. A volte, i vescovi
hanno l’impressione che le opere caritative possano camminare da sole. Ma c’è un pericolo:
che le varie opere, e gli organismi che le sostengono, si allontanino sempre di più
dalla missione ecclesiale. Accade che arrivino tanti aiuti da benefattori esterni
alla Chiesa, l’amministrazione sia incentrata su una determinata funzionalità e così
si finisca per dimenticare che il Signore ha fatto i beni anche per proclamare il
Vangelo: ecco perché la missione caritativa della Chiesa è legata anche alla missione
ecclesiale che vuole proclamare il Vangelo. I vescovi devono quindi recuperare la
loro responsabilità nei riguardi dell’evangelizzazione, della quale l’aiuto caritativo
è una parte.
D. - In base a quello che lei ha visto
in occasione di questo viaggio, quali sono le nuove sfide che le strutture caritative
cattoliche devono affrontare negli Stati Uniti?
R.
- C’è sempre la tentazione del secolarismo. La Caritas dei vescovi americani per l’estero,
che si chiama “Catholic Relief Services - CRS” ha un badget preventivo annuo di circa
500 milioni di dollari e due terzi di questo importo vengono dallo Stato. Significa
che lo Stato chiede un bilancio preciso: chiede ricevute, chiede un lavoro amministrativo
e quindi, necessariamente, questa agenzia si occupa molto di tali aspetti. Ad esempio,
per il controllo serve la collaborazione di funzionari esperti e così, alla lunga,
si manifesta una tendenza a separarsi dalla missione ecclesiale. Questo stesso secolarismo
che ho rilevato negli Stati Uniti vale anche per i Paesi dell’Europa. Per esempio,
in Germania la Caritas ha 500 mila impiegati, pagati dalla Caritas stessa. E questo
manifesta un orientamento nuovo riguardo alla funzionalità, agli effetti sociali,
e non necessariamente implica un interesse per la fede. La Deus Caritas est
è molto, molto importante perché sottolinea che la missione della Chiesa ha sempre
due facce: quella della proclamazione della Parola di Dio e quella di fare del bene,
cioè sperimentare che Dio ama il suo popolo.
D. -
Eminenza, quali Paesi sta aiutando sul piano caritativo il suo dicastero Cor Unum?
R.
- Quando si verificano catastrofi naturali o ci sono specifiche difficoltà, il Santo
Padre ci spinge a dare un segno della sua misericordia, della sua sensibilità nei
riguardi di quella tale situazione. Negli ultimi tempi, siamo intervenuti spesso:
c’è stato il terremoto in Pakistan, abbiamo aiutato anche dopo l’uragano che ha colpito
Cuba e Haiti inviando denaro ai vescovi. Recentemente, abbiamo ricevuto richieste
d’aiuto dal vescovo di Bukavu a causa della guerra in corso nella Repubblica Democratica
del Congo. Tutti hanno bisogno di un aiuto concreto, materiale, e noi lo inviamo a
nome del Papa. Abbiamo dato un aiuto - e questa è stato un fatto nuovo - anche ai
terremotati della Cina continentale: si sa che le relazioni con la Chiesa non sono
molto facili, ma l’aiuto del Papa per i terremotati è stato bene accolto.
D.
- La crisi finanziaria, che in questi ultimi mesi ha colpito il mondo, ha coinvolto
anche gli aiuti di Cor Unum? Avete avuto maggiori richieste?
R.
- No, ancora no. Ma anche noi abbiamo risentito di questa crisi, perché non abbiamo
“liquidi” come avevamo prima. Adesso, anche noi dobbiamo riflettere di più su come
reperire i fondi e siamo riconoscenti a tutti i benefattori che ci danno un po’ d’aiuto,
anche materiale.
D. - Lei come presidente di Cor
Unum ha intrapreso diversi viaggi in varie parti del mondo: India, Polonia, Francia,
Stati Uniti, Filippine. Che bilancio può fare di questi viaggi?
R.
- Un aspetto importante è sempre stato quello dell’incontro con i vescovi. L’enciclica
Deus caritas est sottolinea molto la responsabilità del vescovo stesso e dice
chiaramente che la carità è un’opera ecclesiale. Non è una filantropia, non è l’operato
della Croce Rossa: è un’opera ecclesiale. La teologia ci dice: “Il vescovo è responsabile
della proclamazione della Parola, della materia della liturgia, cioè della celebrazione
del Signore, ma è responsabile anche della diaconia”. I vescovi hanno tante cose da
fare, e quando vado in visita nelle varie parti del mondo e riflettiamo sul testo
dell’enciclica tento di spingere affinché sia realizzato quello che il Papa ha scritto
nell’enciclica: che non si può delegare completamente l’opera caritativa ad altri.
Certamente, il vescovo deve farsi aiutare; ma deve sempre ricordare che è lui la persona
decisiva per quanto riguarda l’opera caritativa.
D.
- Cor Unum ha lanciato una nuova iniziativa: gli esercizi spirituali per i
responsabili delle associazioni caritative in varie parti del mondo. Qual è lo spirito
di questa proposta?
R. - Incontrando i vescovi anche
qui a Roma, quando vengono per la loro visita ad Limina - perché quando vengono
in gruppo passano anche da noi, soprattutto quelli dei Paesi poveri - abbiamo visto
che si interessano maggiormente alla seconda parte dell’enciclica, in cui si parla
degli aspetti pratici. Ma non a caso, il Papa ha scritto tutta una prima parte sulla
questione di Dio, sottolineando molto che la questione di Dio è oggi la più importante.
Ci siamo quindi chiesti: cosa possiamo fare per i collaboratori della Caritas, per
mettere in rilievo questa prima parte dell’enciclica? E così, abbiamo invitato a Guadajara,
in Messico, i presidenti e direttori - sono in parte vescovi, in parte preti, in parte
laici - delle Caritas del Nord e Sud America. Abbiamo mandato 2.000 inviti e abbiamo
ricevuto circa 500 adesioni tra presidenti e direttori di Caritas. E padre Raniero
Cantalamessa è stato così gentile da predicare loro un ritiro di quasi una settimana.
La risonanza è stata molto, molto positiva. Abbiamo raccolto tante e bellissime testimonianze
di coloro che hanno partecipato, che ci hanno detto: “Finalmente c’è qualcuno che
ci offre questa occasione! In genere, da noi ci si aspetta soltanto la nostra attività,
mentre questa volta ci si è interessati di suggerirci come va fatta la carità: ciò
significa che la nostra fede è stata intensificata e noi siamo stati messi a confronto
con il Vangelo”. La risonanza è stata tanto positiva da indurci a pensare di ripetere
l'esperienza anche in Asia: l’anno prossimo, a luglio, invitando a Taiwan tutti i
presidenti e direttori della Caritas di Asia.
D.
- Eminenza, lei rappresenta il Papa per quanto riguarda la carità in diverse parti
del mondo. Che cosa rappresenta per il Pontificato di Benedetto XVI l’aspetto caritativo?
R.
- Non a caso, il Papa ha scelto come prima enciclica, questa sulla carità: non è un
caso. A me sembra che, prima di tutto, oggi ci sia una grande sensibilità nei riguardi
del comandamento di amare il prossimo, una grande sensibilità in tutto il mondo. Oggi,
nessuno può dire: non mi interessa il sofferente, non mi interessa chi vive in miseria.
E la cosa esercita anche un certo fascino, perché anche i grandi della cultura, della
politica, si vantano di fare molte belle cose in favore dei poveri e degli emarginati.
A me sembra quindi che il Papa abbia voluto raccogliere questa sensibilità, che è
una cosa bellissima, per lanciare un messaggio che dice: se tu ami il tuo prossimo,
lo ami perché sei amato da Dio. Per dare una trasparenza a questa sensibilità umanistica,
che troviamo ovunque, perché tutto questo è possibile grazie al messaggio che ha portato
Gesù Cristo, che Dio ci ama. E di conseguenza, comunicare una dimensione di fede in
questo umanesimo, in questa filantropia.