Congresso di Bangkok: la solidarietà della Chiesa ai migranti dell'Asia
Sviluppare un dialogo a tre livelli - con gli immigrati, con i poveri e con le varie
culture e religioni - per “una migliore cura pastorale per i migranti e i rifugiati
in Asia, all’alba del terzo millennio”. E proprio questi sono stati il titolo e lo
scopo del primo Congresso asiatico di pastorale dei migranti, svoltosi di recente
a Bangkok su iniziativa del competente dicastero pontificio, rappresentato in Thailandia
dal presidente e dal segretario, il cardinale Renato Raffaele Martino e l’arcivescovo
Agostino Marchetto. Sui contenuti del documento finale del Congresso, il servizio
di Alessandro De Carolis:
Le rotte
degli immigrati sono percorse ogni anno da 200 milioni di persone: gente che va in
cerca di lavoro, giovani che aspirano a una migliore qualità dello studio, disperati
in fuga da violenze di vario genere. Impossibile, per la Chiesa, non considerare questa
massa umana “una nuova area profetica” cui riservare nuove attenzioni, tra solidarietà
e pastorale. E’ questa l’idea e la base d’impegno sottoscritta nel documento conclusivo
dai partecipanti al primo Congresso asiatico di pastorale per i migranti e gli itineranti.
Dalla Cina all’India, dalle Filippine al Myanmar agli Emirati Arabi, i vescovi e gli
esperti presenti a Bangkok, sede del Congresso, si sono trovati d’accordo nell’affrontare
la questione migratoria all’interno di un “triplo dialogo”: con “i migranti
e i rifugiati; con quanti sono poveri ed emarginati nelle società asiatiche; con il
ricco mosaico di culture, lingue e le antiche tradizioni religiose dell'Asia”.
Tuttavia,
poiché - si constata del documento - l’Asia è “una delle regioni del mondo più esposte
alle conseguenze umane degradanti dei movimenti migratori”, ci sono almeno cinque
elementi di preoccupazione da valutare e affrontare, a partire dalla “difesa dell'unità
e del benessere familiare, alla promozione di alternative alle migrazioni forzate,
agli aspetti positivi e negativi delle migrazioni a scopo di lavoro, alla gestione
degli impatti di sviluppo delle migrazioni”, per finire con il dramma della “lotta
al traffico degli esseri umani e la difesa delle vittime”. In questo caso, si osserva,
l’azione di contrasto deve considerare la drammatica deriva delle “nuove schiavitù”
che coinvolgono “milioni di migranti e rifugiati” e le loro famiglie”: bambini-soldato,
vittime della prostituzione, gente costretta ai lavori forzati. Per arginare l’impatto
di questo quadro di abusi, dovrebbero essere implementati, si ribadisce, “regimi di
protezione relativi alla difesa dei diritti dei sopravvissuti al traffico mediante
servizi che spaziano dall'assistenza psico-sociale all'aiuto legale e alla reintegrazione,
soprattutto se le vittime collaborano per identificare i trafficanti”.
Da
parte sua, la Chiesa - si legge nel testo - ha il dovere di “aprire coraggiosamente
nuove vie per un cammino di speranza per quanti soffrono e sono disperati” e il fatto
che i migranti siano “continuamente sfidati e messi in situazioni di rischio aumenta
“il ruolo e la responsabilità della Chiesa di promuovere una cultura dell'accoglienza”.
Inoltre, si legge ancora, la Chiesa stessa deve favorire la traduzione delle esperienze
dei migranti in “una visione teologica”, da incarnare in “nuove risposte nei campi
della specifica cura pastorale”. Come sempre, secondo il magistero vaticano sul tema,
si insiste sul rapporto tra Chiesa d'origine e Chiesa di destinazione degli immigrati
così come si sollecita la predisposizione di un ministero familiare per i migranti
in entrambe le Chiese, in modo da “poter fornire una risposta efficace” ai bisogni
di chi ha scelto o è stato costretto a integrarsi in un altro Paese.