Le misure del G20 per il riassetto globale di finanza e mercati
Rilanciare l’economia aumentando la spesa pubblica, ma evitando derive protezionistiche
e regolamentare i mercati attraverso la sorveglianza e la trasparenza. Nel G20 che
si è chiuso ieri sera a Washington, sono state tracciate le linee d’azione comuni
contro la crisi e sono state poste le basi per una profonda riforma del sistema finanziario
globale. Dalla capitale Usa, ci riferisce Elena Molinari:
Il valore
del G20, conclusosi ieri, è racchiuso più nell’immagine che nel comunicato finale.
Quando i leader dei 20 Paesi si sono messi in posa per le foto di rito, oltre ai soliti
volti americani, europei o giapponesi, balzano agli occhi il castano di re Abdullah
dell’Arabia Saudita, il turbante del primo ministro indiano e la pelle nera del presidente
sudafricano. Tutti, poi, hanno evidenziato la preoccupazione per le ricadute di una
crisi che sta contagiando il mondo intero. La volontà di lavorare insieme, dunque,
non è più retorica ma necessità, e la partecipazione dei Paesi emergenti non è un
gesto di magnanimità delle potenze sviluppate, ma una presa d’atto del loro peso nell’economia
mondiale. Era il primo vertice del G20 a livello di capi di Stato e di governo, e
già ha messo in forse l’autorità del G8. Il summit si è concluso con affermazioni
di principio importanti, ma necessariamente vaghe. I 20 hanno ribadito sia la fiducia
nei principi del libero mercato che del commercio aperto, sia il bisogno di mercati
finanziari che siano regolamentati in maniera efficace. Di più, sarebbe stato difficile
fare, data l’assenza di Barack Obama. L’appuntamento per iniziative più concrete è
dunque per aprile, dopo l'avvio del mandato del nuovo presidente americano, quando
i 20 si ritroveranno. Entro quella data, si sono impegnati a definire misure per la
regolamentazione globale, la supervisione e la trasparenza dei mercati. Sempre entro
la fine di marzo, i 20 presenteranno una lista nera delle istituzioni finanziarie
più a rischio. In primo piano sono tornati anche i negoziati del “dual round” sul
commercio internazionale: i 20 hanno deciso infatti di concluderli entro l’anno.
Il
vertice di Washington ha dunque dimostrato che esiste una forte necessità di allargare
la cooperazione alle economie emergenti. Ma con il G20 si è effettivamente creato
un fronte comune contro l’attuale crisi economica? Marco Guerra lo ha chiesto
al prof. Riccardo Moro, economista e direttore della Fondazione Giustizia e
Solidarietà della Conferenza episcopale italiana:
R. - Un fronte
comune esisteva già: è sotto gli occhi di tutti la necessità di un’azione concordata
e i leader di tutti i Paesi si sono già parlati e si erano già parlati in questi mesi.
La riunione in sé aggiunge qualcosa di nuovo, ma non cambia le prospettive: direi
che non aggiunge elementi di grandissima novità, soprattutto per la debolezza fondamentale
di essere presieduta e ospitata da un presidente degli Stati Uniti che tra un mese
e mezzo non avrà più alcun ruolo.
D. - La presa di
posizione dei grandi del mondo può realmente risolvere la crisi economico-finanziaria
in corso?
R. - Mi pare un passo in un cammino che
è necessario: è un passo, dunque, dovuto per certi aspetti ma per ora assolutamente
non sufficiente. Non si può risolvere una crisi sistemica di questo tipo con una sola
riunione. E’ stato prodotto un documento molto lungo, molto articolato che, evidentemente,
era stato redatto in precedenza e non può essere frutto di una sola giornata di lavoro,
e che non può esaurire la complessità delle questioni. Abbiamo di fronte a noi alcune
tappe. Una tappa si aprirà tra 10 giorni a Doha, con la Conferenza internazionale
sul finanziamento dello sviluppo. Vi sono altre sedi nelle quali le questioni del
regolamento dei mercati finanziari verranno affrontate. Direi che è un passo, quello
compiuto nella giornata di ieri, anche se sicuramente non ancora sufficiente.
D.
- No al protezionismo ma via libera ad una massiccia spesa pubblica antirecessione.
Come valuta le due linee guida fissate dal G20 per uscire dalla crisi?
R.
- Direi che, in realtà, ce ne sono tre di linee guida, nel senso che la battuta sul
veto ad un’iniziativa eccessivamente protezionistica effettivamente esiste ed è forse
figlia di una preoccupazione soprattutto britannica nei confronti di alcune notizie
lasciate trapelare dall’amministrazione americana, di una disponibilità ad un finanziamento
all’industria automobilistica statunitense. Ma mi pare che i due elementi più importanti
siano, da un lato, di autorizzare spese pubbliche espansive rispetto a quello che
è stato lo stile degli ultimi anni, ma, dall’altro lato, una chiara intenzione di
affrontare la questione della regolamentazione dei mercati: sia proprio attraverso
la definizione di regole e che attraverso un rafforzamento del lavoro di definizione
di standard contabili.
D. - Questa crisi ha messo
in risalto il peso delle economie emergenti: non si potrà più prescindere, dunque,
dal format a 20 partecipanti agli incontri internazionali?
R.
- Certamente, il ruolo del G20 sta surclassando, in questo momento, il ruolo del G8.
E' vero, però, che anche la sede del G20 non è sufficiente. Noi abbiamo la necessità
di dare centralità alle sedi multilaterali autentiche e complete, come è quella delle
Nazioni Unite, come sono le Conferenze internazionali che le Nazioni Unite convocano.
D.
- Professor Moro, c'è il rischio che le decisioni del G20 provochino una ricaduta
negativa per i Paesi poveri ed in via di sviluppo?
R.
- Io non direi, in questo momento. Sicuramente, la crisi ha determinato delle ricadute
negative, generando perdite da un lato e dall’altro, riducendo disponibilità e accesso
al credito per i Paesi in via di sviluppo, che hanno necessità di finanziarsi. Dunque,
un problema che è nato in una parte del mondo ha avuto ricadute dappertutto. Non credo,
quindi, che si possa dire che questa riunione possa arrecare dei danni, nei Paesi
più poveri.