2008-11-16 15:26:29

Emergenza umanitaria a Gaza dopo la ripresa delle violenze


Non si fermano gli scontri al confine tra Israele e la Striscia Gaza dopo la violazione, venerdì scorso, della tregua siglata a giugno tra Hamas e lo Stato ebraico. Stamani, quattro miliziani palestinesi sono rimasti uccisi ad est di Gaza City in un raid aereo israeliano. Secondo le forze di Tel Aviv, il gruppo si accingeva a sparare razzi contro Israele. Intanto, con la ripresa delle violenze e la chiusura dei valichi, è cessata la distribuzione degli aiuti alimentari nella Striscia e a nulla sono valsi per ora gli appelli dell’Onu e dell’Unione Europea per ristabilire gli approvvigionamenti al territorio palestinese. A questo proposito Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di un'insegnante cristiana che vive a Gaza e che per ragioni di sicurezza preferisce mantenere l’anonimato: RealAudioMP3

R. - La situazione è molto difficile, è tutto chiuso per noi. Ad esempio, mia figlia ha finito la scuola quest’anno ed io non ho potuto mandarla fuori all’università. Questa è la cosa più difficile: che non possiamo uscire, è come una prigione: una prigione così grande che non si può partire, non si può andare da nessuna parte.

 
D. - Per quanto riguarda medicinali, i bisogni che avete?

 
R. - Non sempre si trova tutto. Per esempio, se abbiamo una malattia seria, gli ospedali qui non sono troppo buoni. Allora non è facile uscire, avere il permesso.

 
D. - Quale testimonianza, anche di vita, si può dare in un clima di questo genere, di paura, di limitazione?

 
R. - Io, ad esempio, insegnavo ad una scuola frequentata solo da musulmani ed era un’esperienza molto bella, perché si vede che c’è Gesù in loro. Io guardavo ognuno come se ci fosse Gesù in lui anche se qualche volta non mi capivano perché sono cristiana - loro non hanno un’idea dei cristiani come sono. Con la vita, tante di loro hanno capito che una persona cristiana vive l'amore.

 
D. - Che rapporto c’è invece con la pace? Se ne parla, che idea c’è?

 
R. - Tutti dicono che vogliono la pace, ma non so se hanno capito bene cosa voglia dire “pace”.

 
D. - Educare i giovani alla pace è un’esperienza che tu hai fatto?

 
R. - Quando ero con i figli - erano più piccoli - hanno cominciato dalle nove di sera fino al mattino, sempre con i bombardamenti e i bambini avevano tanta paura. Loro hanno cominciato a dire qualche parola: “Perché fate così”, ed io ho detto: “Perché non dite che Gesù ha detto che dobbiamo amare i nemici. Questa è un’occasione, no?” Allora mi hanno detto: “Come possiamo amare loro?” Ed io ho detto: “Possiamo non dire niente ma possiamo pregare per loro, possiamo chiedere a Gesù che metta il suo amore in loro, che li faccia pensare che non stanno facendo una cosa bella.” Allora abbiamo pregato insieme per loro e dopo, anche se continuavano i bombardamenti, non avevano più paura.

 
D. - C’è la speranza, è cambiato qualcosa negli ultimi anni? Senti che c’è un progetto?

 
R. - Non sento che ci sia qualcosa di serio perché non vediamo niente: vediamo che le cose vanno male, vanno peggiorando.

 
D. - Andare via è ipotizzabile?

 
R. - Non sarà facile, ma per il futuro dei figli sarebbe stato meglio uscire fuori per farli studiare, per trovare un lavoro buono. Ma qui, adesso, con questa situazione, non c’è speranza.







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