Il cardinale Tauran sulle conclusioni della Conferenza promossa all'Onu dal re saudita
“Promuovere il dialogo tra popoli e culture ed il rispetto per differenti religioni”:
è l’impegno rilanciato al termine del vertice “Cultura di Pace” nella sede dell’Onu
a New York, tenutosi su iniziativa del re dell’Arabia Saudita, Abdullah II. Nella
dichiarazione finale è stato ribadito “il rifiuto all’uso strumentale delle religioni
volto a giustificare l’uccisione di persone innocenti con atti di terrorismo e violenza”.
All’incontro, al quale hanno partecipato delegazioni di oltre 75 Paesi e numerosi
capi di Stato e di governo, ha preso parte anche il cardinale Jean-Louis Tauran,
presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Al microfono di
Romilda Ferrauto, responsabile del nostro programma francese, il porporato
si sofferma sul significato della conferenza tenutasi nella sede delle Nazioni Unite:
R. – Je dirais
que la conférence était importante dans la mesure ou il s’agissait ... Direi
che la conferenza è stata importante perché con essa si è voluto far conoscere alle
Nazioni Unite, informare le Nazioni Unite in merito alla riunione che si è svolta
a Madrid nello scorso mese di luglio. L’attuale conferenza è stata introdotta dal
re d’Arabia Saudita, che è stato l’ideatore della riunione di Madrid, ed ha permesso
di informare le Nazioni Unite sui suoi risultati. Ci si chiederà: perché le Nazioni
Unite? Il re d’Arabia Saudita aveva, inizialmente, in programma di fare in modo che
il Documento di Madrid divenisse oggetto di una Risoluzione dell’Assemblea generale;
gli abbiamo fatto notare – ed era la posizione della Santa Sede – che non è la “vocazione”
delle Nazioni Unite preoccuparsi della libertà di religione in quanto tale; le Nazioni
Unite hanno come compito, per quanto riguarda la libertà di religione, di verificare
che i Paesi membri rispettino gli impegni presi in materia. La Conferenza di Madrid
è stata una riunione di capi religiosi e le Nazioni Unite non hanno la competenza
di legittimarla o per discuterne il contenuto. Si è trattato quindi semplicemente
di informare le Nazioni Unite sulla Conferenza di Madrid.
D.
– La Conferenza di New York è sfociata in una dichiarazione comune: c’è stata dunque
una dichiarazione che riguardava capi di Stato e capi religiosi?
R.
– Oui. Bien sur. Mais la Conference de New York a fait … Sì, certamente.
Ma la conferenza di New York ha fatto sì che il tema della libertà di religione sia
considerato, dai responsabili delle società, come una priorità nelle relazioni, sia
interne agli Stati, sia nelle relazioni internazionali. Abbiamo potuto rilevare una
certa differenza nell’apprezzamento: i musulmani, le delegazioni musulmane hanno insistito
sul rispetto della libertà di religione e soprattutto sulla necessità di non fare
dei simboli religiosi e delle religioni oggetto di derisione, mentre gli occidentali
si sono applicati in maniera particolare a sottolineare gli aspetti concreti della
libertà di religione, in particolare la reciprocità per quanto riguarda i luoghi di
culto. Devo dire che personalmente sono rimasto sorpreso da un’affermazione fatta
a nome dell’Unione Europea dal rappresentante della Francia che ha pronunciato questa
frase piuttosto curiosa: “L’esercizio della libertà religiosa non può essere concepito
senza quello della libertà d’espressione”, e questo mi sembra molto normale; ed ha
aggiunto: “compreso, a volte, l’aspetto della derisione”. Questo ha molto sorpreso
molte delegazioni e io sto preparando un intervento specifico, chiedendo un commento,
una spiegazione in merito a questa affermazione che mi sembra inaccettabile.
D.
– La conferenza di New York si è svolta meno di una settimana dopo il primo seminario
del Forum cattolico-musulmano, che si è tenuto a Roma. Ci sono diversi percorsi di
dialogo. I percorsi si completano o può esserci rischio di dispersione?
R.
– Bien, c’est a dire, c’est l’hasard du calendrier, la succession des deux réunions.
… Bè, in realtà, è stata una circostanza fortuita, la successione delle
due riunioni. Penso, se così posso dire, che la libertà di religione oggi è di moda,
e quindi il rischio di dispersione esiste. Ed è per questo che è importante che la
Santa Sede, in particolare, con i suoi interlocutori chiarisca bene la specificità
del dialogo all’interno di canali già ben determinati. Credo però che, quello che
importa in fondo, è che attraverso tutte queste iniziative si comprenda che il dialogo
significa innanzitutto ascoltarsi, spiegare la propria fede: non si cambia religione,
ma ci si ascolta. Ecco, questa è, fondamentalmente, la novità. Nella Dichiarazione
finale del seminario di Roma, ci sono i punti 5 e 6 che sono molto importanti, perché
in essi si dice – per quanto riguarda la libertà di religione – che le comunità possano
praticare la loro fede in privato ed in pubblico, e questo è molto importante per
i cristiani. In secondo luogo, il punto 6 dichiara che le minoranze religiose devono
essere rispettate nelle loro convinzioni religiose e nella pratica religiosa, devono
avere un luogo di culto proprio e che né la religione, né il suo fondatore, possono
essere oggetto di derisione. Ecco: questi due punti della conclusione del seminario
di Roma, sono molto importanti.
D. – Come si possono
tradurre in pratica questi due punti? Ci saranno iniziative comuni concrete, al di
là degli incontri e delle dichiarazioni comuni?
R.
– Il y aura un second forum qui se tiendra dans un pays à majorité musulmane … E’
previsto un secondo seminario, che tra due o tre anni si terrà in un Paese a maggioranza
musulmana: siamo ancora in fase esplorativa. Nella conclusione del seminario di Roma
ho insistito sul fatto che è importante che questi progressi nel rispetto e nella
conoscenza reciproci passino dai livelli alti a livello delle masse: ecco, questo
è importante, in questo momento. Questi progressi si stanno verificando a livello
di responsabili religiosi e politici, ma è importante che tutto ciò arrivi alla base!
Nel corso del mio intervento a New York, ho insistito sul fatto che le religioni,
a dispetto delle debolezze e delle contraddizioni dei loro seguaci, sono sostanzialmente
messaggere di riconciliazione e di pace; ho molto insistito sul fatto che ogni settimana,
milioni di credenti si riuniscono nelle loro sinagoghe, nelle loro chiese, nelle loro
moschee dove fanno l’esperienza della fratellanza, e ricordano che l’Uomo non vive
di solo pane. Ed è questa competenza che noi siamo convinti di voler mettere a disposizione
di tutti.