Caso Englaro. Mons. Fisichella: rispetto per il dolore ma decisione molto grave
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano interviene sul caso Englaro, la giovane
donna in coma da 17 anni. Dopo la sentenza della Cassazione che ha dichiarato inammissibile
il ricorso della Procura generale di Milano, il ministro ha affermato che ''Il Parlamento
e' chiamato a riempire un vuoto normativo e di seguire con attenzione il movimento
parlamentare attorno a una possibile legge”. E sono molte le prese di posizione del
molto cattolico in merito alla sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione
e dell’idratazione. Alessandro Guarasci
Il cardinale
Dionigi Tettamanzi, si rivolge direttamente alle suore Misericordine di Lecco, che
da anni accudiscono Eluana nella clinica dove e' ricoverata. In una lettera, l’arcivescovo
di Milano, dice che la vicenda si sta avviando a ''una conclusione irragionevole e
violenta''. Il cardinale ha rivolto anche una supplica a Dio. ''A Lui chiedo - ha
scritto - che non lasci mancare un'estrema opportunita' di ripensamento a quanti si
stanno assumendo la gravissima responsabilita' di procurarle la morte, privando dell'acqua
e del nutrimento questa Sua amata creatura”. In mattinata le stesse suore si erano
augurate che la giovane rimanesse con loro perché la sentono viva. Sulla stessa linea
monsignor Pietro Brollo, arcivescovo di Udine, città dove la giovane potrebbe esser
portata a morire. Monsignor Brollo dice di ''sentire forte il bisogno della preghiera
affinche' il rispetto della vita umana si affermi ad ogni livello culturale, sociale
e politico. A caldo, ieri sera, una nota della Cei spiegava che “l'alimentazione e
l'idratazione non costituiscono una forma di accanimento terapeutico”. L'Osservatore
Romano, invece, oggi, nel suo editoriale parla di "terribile morte di Eluana, che
è monito per tutti". Secondo il giornale vaticano, la ''sconfitta'' subita con la
sentenza di giovedì ''insegna a noi cattolici che dobbiamo ancora pensare e lavorare
per diffondere i nostri principi''. Il bioeticista dell’Università Cattolica monsignor
Roberto Colombo fa notare come si tratta di “spegnere l'esistenza di una giovane donna
sul cui volto non vi e' segno di sofferenza alcuna''.
E Sulla gravità della
sentenza della Cassazione e sulla necessità di difendere la vita contro le derive
eutanasiche, si sofferma il presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore
della Lateranense, mons. Rino Fisichella, intervistato da Francesca Sabatinelli:
R. - E’
una decisione questa molto grave, sotto tutti i profili. Per quanto mi concerne, è
gravissima dal punto di vista etico e dal punto di vista morale. Forse potranno trovare
delle giustificazioni nei cavilli procedurali e nelle interpretazioni del linguaggio.
Nella sostanza, però, rimane un fatto del tutto grave, un fatto del tutto estraneo
alla cultura del popolo italiano e un fatto di una gravità assoluta per quanto riguarda
un attentato alla vita. Ciò cui saremo costretti ad assistere è che, ancora una volta,
ad una vita umana, ad una vita personale, ad una ragazza di 37 anni - come fu nel
passato per Terry Schiavo, negli Stati Uniti, così oggi in Italia - verrà tolto il
nutrimento e verrà tolta l’idratazione, cioè ad una persona viva, non attaccata a
nessuna macchina, ad una persona che respira autonomamente, ad una ragazza che si
sveglia e si addormenta, ad una ragazza che percepisce anche. Perché questo è ugualmente
da ribadire: lei percepisce delle sensazioni. Le verrà tolta l’acqua e le verrà tolto
il nutrimento, condannandola certamente ad una morte di grave sofferenza e di stenti. D.
- Eccellenza, secondo lei, con questa sentenza c’è il rischio, così come è stato ipotizzato
da alcuni, che si possa introdurre l’eutanasia in Italia? R.
- Io sono ancora più profondamente convinto che il popolo italiano, verificando il
dramma che si sta per compiere sotto ai suoi occhi - perché rimango fermamente convinto
che la maggioranza degli italiani non condivide questa posizione nel momento in cui
è informato di come avvengono veramente le cose e di quale posta in gioco realmente
ci sia - credo sarà convinto ancora di più ad arrivare a formulare una legge, mi auguro
il più possibile condivisa, proprio perché venga evitato il più possibile qualsiasi
esperienza e qualsiasi forma di eutanasia passiva o attiva nel nostro Paese. D.
- Accanto ad Eluana ci sarà - lo ha già detto, come sempre è stato in questo periodo
- il papà Beppino, che ha dichiarato subito dopo la sentenza che in Italia si vive
in uno Stato di diritto... R. - Sì, io ho sempre avuto profondo
rispetto per la situazione familiare, per il dolore familiare, così come ho rispetto
però per più di duemila persone che vivono la stessa condizione e che non giungono
alle stesse conclusioni. Mi sembra però che invocare il diritto lasci aperto un grande
vuoto che è quello di richiamare anche ad una dimensione della compassione e dell’amore.
In uno Stato di diritto le assicuro che c’è un principio fondamentale che dice “Summum
ius, summa iniuria”. Io credo che questo parli già da sé. Se gli antichi romani avevano
stabilito questo principio, pensi se non sia ancora valido oggi. “Giuridicamente
devastante”: così, l’Unione giuristi cattolici italiani (UGCI) definisce “la sentenza
della Cassazione che ha posto fine al caso Englaro”. Secondo i giuristi cattolici,
infatti, la Cassazione ha introdotto “di fatto nel nostro ordinamento l'eutanasia
passiva”, inducendo l'opinione pubblica “a ritenere che una vita malata possa perdere
di dignità”. Un atto, questo, che va contro l’ordinamento costituzionale italiano.
E' quanto sottolinea il presidente dei giuristi cattolici italiani, il prof. Francesco
D’Agostino, intervistato da Luca Collodi: R. - Nella
pronuncia di ieri, la Cassazione ha riconosciuto un diritto di rango costituzionale
all’autodeterminazione dei pazienti, anche nei confronti di scelte di fine vita. La
Costituzione non parla di un diritto di questo genere: si limita ad affermare che
ogni persona ha diritto a rifiutare terapie coercitive. Ma forme di autodeterminazione
che si trasformino obiettivamente in pratiche di eutanasia passiva, come quella che
aspetta la povera Eluana, sono sconosciute al nostro testo costituzionale. Se la Cassazione
avesse adottato un’interpretazione saggia e prudente del nostro ordinamento giuridico,
e avesse preso seriamente in conto i principi della deontologia medica, non ci sarebbe
stato alcun bisogno di una legge. Ma dato che la Cassazione ha scelto invece una interpretazione
indebitamente estensiva, che di fatto introduce l’eutanasia nel nostro ordinamento,
a questo punto ritengo che sarebbe sommamente auspicabile che il parlamento intervenisse
per ribadire principi tradizionali che oggi, evidentemente, sono andati perduti. D.
- Professore D’Agostino, non pensa che queste sentenze possano aprire anche un fronte
culturale su tematiche come quella del rapporto tra etica e giustizia? R.
- Guardi, aprono un fronte culturale estremamente delicato. La vita di Eluana, essendo
in stato vegetativo persistente, avrebbe perso dignità. Questa affermazione è gravissima
e, a mio avviso, è un vero e proprio insulto nei confronti di tutti quei malati che
si trovano nella situazione di Eluana e dei medici e dei parenti che li accudiscono.
Bisogna ribadire con forza l’esatto contrario: la dignità umana non solo è inviolabile
ma è imperdibile, nessuna situazione può farci pensare che la dignità umana sia venuta
meno, meno che mai quando parliamo di malati. Ecco perché, avere giustificato la sospensione
delle cure di Eluana, apre una breccia, di tipo culturale ed etico, a mio avviso,
devastante. E sulla dignità della persona morente, ecco la testimonianza del dottor
Giovanni Maria Sanna, responsabile del Centro "Santa Maria Assunta" di Guspini
- vicino Oristano, in Sardegna - che da anni cura malati in stato di coma e affetti
da gravi cerebrolesioni. L’intervista è di Alessandro Gisotti:
R. - Non
ci possiamo fermare ad un aspetto semplicemente esteriore della persona. E’ una persona
viva, che mi trasmette comunque un’emozione, e io sono sicuro che ci sia un passaggio,
diciamo, di emozione reciproca. D. - Per chi non ha fede, ovviamente,
la questione diventa più complicata. Cosa si sente di dire lei, in base alla sua esperienza? R.
- Io lavoro con gente che non ha fede, con colleghi, con famiglie che non hanno fede.
Posso dire semplicemente questo: anche loro combattono la stessa battaglia e, pur
con differente sensibilità, vivono la stessa esperienza. Quello che mi colpisce, soprattutto
nella mia esperienza ultradecennale, è che mai ho avuto richieste di interrompere
una terapia, per non parlare poi della somministrazione di cibo, perché tutto ruota
sempre intorno alla situazione della persona: se lasciata sola, sono sicuro che la
disperazione può portarla a richieste eccessive; se invece la società la accompagna
fino alla fine, non sente il bisogno di chiedere l’interruzione della vita. Questa
è la mia esperienza. D. - La solitudine del malato e di chi
gli è vicino: il problema è proprio questo? R. - Sì, il problema
è proprio questo. Noi non stiamo parlando soltanto del malato, noi stiamo parlando
della persona sofferente. E nella mia esperienza, la persona sofferente fa vedere
un aspetto trinitario della persona che vive in società, che è l’ammalato, la famiglia
stessa e gli amici. Questi soffrono e, se non sono lasciati soli, trovano in loro
la forza di portare avanti la croce che gli si è presentata, la sofferenza. D.
- La vicenda di Eluana Englaro, ovviamente oggi sulle prime pagine di tutti i giornali,
è innanzitutto una storia di dolore: di Eluana, del padre... Che cosa pensa di fronte
ad una realtà come questa? R. - Alla società dico di stare molto
attenta a quello che introduce dentro se stessa, perché può farsi molto male, prendendo
decisioni che non spettano neanche alla legge. Per quanto riguarda il padre - quando
mi capita personalmente di stare vicino a queste persone sofferenti, non posso assolutamente
dir niente - lo inviterei comunque ad interrogarsi proprio in virtù di questa esperienza
e a cercare la verità. E’ importante che quest’uomo che ha sofferto tanti anni venga
aiutato a trovare la verità.