Alla Conferenza in Vaticano sui bambini malati, interventi di segno multireligioso
sulla intangibile dignità della vita umana
“Il primato della persona del bambino malato trova una crescente difficoltà di riconoscimento”
anche "all'interno delle stesse strutture sanitarie”, come ad esempio in Olanda dove,
in base al Protocollo di Groninghen, “medici e genitori possono decidere di rinunciare
o sospendere le cure” se ritengono che la futura “qualità della vita” del bambino
sia minacciata. E’ la denuncia che mons. Ignacio Carrasco de Paula, cancelliere della
Pontificia Accademia per la Vita, ha levato alla seconda giornata della Conferenza
internazionale in corso in Vaticano su "La pastorale nella cura dei bambini malati".
Alla conferenza - che oggi ha visto prendere la parola, fra gli altri, al cardinale
Dario Castrillon Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei,
e ad alcuni esponenti di altre religioni - interverrà nel pomeriggio di oggi lo psicologo
e psicoterapeuta Vito Ferri, esperto dei rapporti tra i bambini malati e le
loro famiglie. Eliana Astorri lo ha intervistato su questo delicato aspetto: R.
- Accade un terremoto esistenziale, che si abbatte su un gruppo familiare. Anche qui
ci sarebbe molto da dire, perché parliamo di famiglia, ma la condizione stessa della
famiglia oggi è una condizione di fragilità. Quindi, è un terremoto che si abbatte
su una struttura che già di per sé o è pericolante o comunque scricchiola, non è mai
solida e stabile. Dunque, il bambino già di per sé è fragile e la famiglia è pure
in una condizione di fragilità, anche perchè è un’istituzione sulla quale non si investe
- se ne sta parlando da molto tempo - e ciò è dovuto al fatto che si tende a lasciare
la famiglia a se stessa, abbandonata. L’abbandono è rischioso: o la famiglia o l’individuo
- quando è abbandonato, quando è solo - è in una condizione di estremo rischio. Immaginiamo
quando poi è colpito dalla malattia: questo non è più un rischio, ma diventa un pericolo,
diventa sofferenza, diventa una sofferenza particolare in queste famiglie, che è quella
della desolazione.
D. - E quindi, in questo contesto
di famiglia fragile, che patisce una sorta di abbandono, quando arriva un bambino
malato, oppure quando il bambino sano si ammala...
R.
- Sì, la famiglia è smarrita. Si sente impotente, vive anche un’esperienza di rabbia.
E magari il bambino è figlio unico, oggi c’è anche questo dramma.
D.
- Un genitore si chiede: “Perché proprio a me”?
R.
- “Perché proprio a me”: ecco la rabbia. Alcune volte se la prende con il Signore:
“Perchè non mi fai un miracolo?”, “Perché mio figlio non guarisce?” Purtroppo, molte
famiglie rimangono in questa condizione, che è una condizione di desolazione, se non
ricevono aiuto dalle istituzioni, se non ricevono aiuto sociale, se non ricevono aiuto
da altre famiglie o altre persone. Questa è una malattia che si aggiunge alla patologia
del bambino. Il bambino è colpito da patologia, vive una condizione di malattia, ma
è la famiglia che si ammala, cioè vive un disagio profondo.
D.
- Dunque, quando la condizione di malattia di un bambino si verifica in una famiglia
la prima reazione è questa consapevolezza di impotenza. Poi che cosa succede? Cosa
fa scattare la reattività, cosa trasforma questa tragedia in un qualcosa di proiettato
verso il futuro?
R. - Finché noi guardiamo dall’esterno
queste famiglie, rischiamo di esserne spaventati: c’è paura e disagio nel confrontarsi
con queste famiglie. Se ci si limita solo ad uno sguardo di superficie, vediamo situazioni
disarmanti, di desolazione continua. Se invece seguiamo queste famiglie nel loro evolversi
- perché una famiglia si evolve, cresce dove c’è un bambino con una malattia cronica
- ci accorgiamo che molte di queste famiglie, non tutte purtroppo, iniziano ad accedere
ad una nuova condizione. Pur permanendo lo stress, la fatica, il disagio, iniziano
a guardare il bambino con un occhio nuovo: vedono un essere vivente che ha una sua
ragione di esistere, dal quale provengono anzi tanti doni. Queste famiglie sanno identificare
cosa è veramente importante nella vita e ne vengono arricchite. E sono tutti doni
che provengono da quel figlio, da quel bambino malato. E’ chiaro che non sempre questo
è possibile da soli: le famiglie hanno bisogno di altre famiglie. E saranno solo queste
famiglie che potranno guardare poi con un occhio particolare le famiglie che stanno
vivendo ancora la fase della desolazione e fare in modo che possano accelerare questo
processo di sollievo.