Mons. Crepaldi: l'attuale crisi finanziaria è una crisi morale
Una fase di recessione che durerà a lungo. E’ la fotografia dello stato di salute
dell’economia europea fatta dall’OCSE,Organizzazione per la Cooperazione e
lo Sviluppo Economico, in vista del G21 - così ridefinito per la partecipazione dell’Olanda
– in programma sabato a Washington. Di indebolimento dell’economia europea parla anche
la Banca Centrale Europea che evidenzia pure il ristagno della domanda interna ed
esterna con previsioni di crescita in netto calo. La Santa Sede continua a seguire
con attenzione l’evolversi degli scenari economico-finanziari. Al microfono di Luca
Collodi, l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, chiede una rinnovata attenzione per i Paesi poveri e un approccio
alla crisi che non dimentichi l’aspetto etico:
R. – Dico
che questa crisi che il mondo sta vivendo non è solo una crisi finanziaria e ritengo
che la soluzione a questa crisi finanziaria non debba essere solo di carattere finanziario.
Perché? Perché ritengo, a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa, che il mercato,
anche quello finanziario, abbia bisogno di presupposti che questo mercato non sa produrre,
come, per esempio, la fiducia. E la crisi finanziaria in atto mette in evidenza quanto
la Dottrina sociale della Chiesa afferma da molto tempo, e afferma questo: quando
un sistema economico-finanziario entra in crisi non è mai per motivi economici o finanziari,
ma perché a monte è avvenuta una ferita al sistema morale globale. In borsa tutti
tendono a vendere e le banche non si concedono più prestiti l’una con l’altra, per
timore di fallimenti. La fiducia – tutti parlano della fiducia, tutti parlano di rimettere
in moto la fiducia reciproca per risolvere questa crisi – non è prima di tutto un
elemento economico-finanziario, ma un atteggiamento etico. Quando il mercato erode
questo atteggiamento etico, tutti sappiamo che non è più in grado di ricostruirlo
da solo. D. – E’ prossimo il G21 a Washington e la conferenza
di Doha. Cosa deve fare secondo lei la comunità internazionale per aiutare i Paesi
poveri? Ci sono dei rischi al riguardo? R. – Il timore che ho
io, un timore un po’ diffuso, è che l’attuale crisi finanziaria vada a minare tutto
l’impegno o gli impegni presi dagli Stati e dalla comunità internazionale per finanziare
lo sviluppo. Questo credo sarebbe una catastrofe. Bisogna trovare delle soluzioni
di carattere sistemico. Spero veramente che il G21 del 15 di novembre sia un evento
che va ad integrarsi e che va a collegasi positivamente alla conferenza internazionale
di Doha. Qui sappiamo tutti quanto ci tenga la Santa Sede al tema del finanziamento
allo sviluppo, perché venga riconfermato e venga assunto con maggiore senso di responsabilità
da parte degli Stati, sia – mi preme dirlo – all’aiuto pubblico allo sviluppo, quello
0,7 per cento che ufficialmente gli Stati più ricchi dovrebbero dare ai Paesi più
poveri, sia alla ricerca di nuove forme di finanziamento per combattere povertà, per
avviare processi di sviluppo e così via. D. – Mons. Crepaldi,
davanti a questa crisi finanziaria tra la gente c’è più voglia della presenza dello
Stato in economia? R. – Questo è inesorabile e inevitabile.
Noi veniamo da una stagione che ha enfatizzato in maniera fideistica la capacità autoregolatrice
del mercato. Veniamo da una stagione di deregulation di qualsiasi tipo di mercato:
del mercato del lavoro, del mercato finanziario e così via. I risultati sono sotto
gli occhi di tutti. Allora, io credo, per ritornare alla Dottrina sociale della Chiesa,
che bisogna guardare con maggiore saggezza al mercato e al ruolo che il mercato può
svolgere. Certamente non saremmo arrivati a questo punto se avessimo trattato il mercato
non come un fine, ma come un mezzo. Io credo che dove ha fallito l’economia e la finanza,
qua deve intervenire, si apre lo spazio per l’intervento della politica dello Stato.
Però cerchiamo di non fare l’altro errore di demonizzare il mercato per beatificare
lo Stato. Bisogna anzitutto mantenere un atteggiamento di grande equilibrio e debbono
essere tre gli attori che devono giocare la partita: il mercato da una parte, lo Stato
dall’altra, ma anche la società civile. E proprio questo per rispondere a quelle che
sono le esigenze e le ispirazioni che provengono dal cosiddetto principio di sussidiarietà.