Benedetto XVI all'udienza generale: "Vieni Signore Gesù e cambia le ingiustizie che
si annidano nel mondo e nei cuori degli uomini"
Cristo che ha vinto la morte venga oggi, nel mondo del 21.mo secolo, e lo rinnovi
in tutte quelle situazioni che parlano di drammi e ingiustizia: venga per il Darfur
e per il Nord Kivu, venga per l’indifferenza di chi ha dimenticato Cristo e per chi
ancora non lo conosce. Con una improvvisata e intensa preghiera, Benedetto XVI ha
concluso questa mattina la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro, ancora
una volta ispirata dagli insegnamenti di San Paolo, in particolare quelli sulla parusia,
ovvero il secondo ritorno di Cristo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Non verrà
dimenticata facilmente la preghiera finale di questo mercoledì in Piazza San Pietro.
Benedetto XVI, dopo aver spiegato in modo più semplice rispetto al testo ufficiale
tutto ciò che San Paolo ha scritto nelle sue Lettere sul ritorno glorioso di Cristo
alla fine dei tempi, apre letteralmente il cuore davanti alla folla. La seconda venuta
di Gesù, ha appena detto, è una “responsabilità” per i cristiani che devono lavorare
e testimoniare il suo Vangelo nell’oggi della storia. Ma questo, ha proseguito, non
deve soffocare quell’anelito proprio della fede cristiana che si traduce nelle parole
di un’antichissima invocazione: “Maranà thà!”, “Vieni, Signore Gesù”. E improvvisamente
quel “vieni”, si moltiplica accorato sulle labbra del Papa e diventa una preghiera,
tanto spontanea quanto emozionante, che abbraccia il mondo e l’umanità:
“Vieni,
Signore! Vieni nel tuo modo, nei modi che tu conosci. Vieni dove c'è ingiustizia e
violenza. Vieni nei campi di profughi, nel Darfur, nel Nord Kivu, in tanti parti del
mondo. Vieni dove domina la droga. Vieni anche tra quei ricchi che ti hanno dimenticato,
che vivono solo per se stessi. Vieni dove tu sei sconosciuto. Vieni nel modo tuo
e rinnova il mondo di oggi. Vieni anche nei nostri cuori”.
“Ogni
discorso cristiano - aveva affermato Benedetto XVI introducendo la catechesi - parte
sempre dall’evento della risurrezione” il quale è in stretto rapporto sia con il tempo
presente, nel quale si costruisce il Regno di Dio, sia con il futuro quando “Cristo
consegnerà il Regno al Padre”. San Paolo, ha osservato il Papa, spiega che la parusia
- all’inizio ritenuta imminente dai primi cristiani - è un “motivo di salda speranza”,
così come lo è per i cristiani di venti secoli dopo:
“Alla
fine saremo sempre con il Signore. E’ questo, al di là delle immagini, il messaggio
essenziale: il nostro futuro è ‘essere con il Signore’; in quanto credenti, nella
nostra vita noi siamo già con il Signore; il nostro futuro, la vita eterna, è già
cominciata”.
Tuttavia, ha proseguito il Pontefice,
credere nel ritorno di Gesù – vivere cioè nella “situazione fra i tempi”, il presente
e il futuro - non vuol dire per un cristiano astrazione dalla vita di ogni giorno:
“L’attesa
della parusia di Gesù non dispensa dall’impegno in questo mondo,
ma al contrario crea responsabilità davanti al Giudice divino circa il nostro agire
in questo mondo. Proprio così cresce la nostra responsabilità di lavorare in e per
questo mondo”.
In definitiva, ha concluso Benedetto
XVI, dagli insegnamenti di San Paolo si deducono alcuni punti fissi, a partire dall’“universalità
della chiamata alla fede” alla certezza che il cristiano risorgerà “con Cristo”: una
certezza, questa, che vince ogni tipo di paura, compresa quella della morte:
“Come
in Cristo il mondo futuro è già cominciato, questo dà anche certezza della speranza.
Il futuro non è un buio nel quale nessuno si orienta. Non è così. Senza Cristo, anche
oggi per il mondo il futuro è buio, c'è tanta paura del futuro. Il cristiano sa che
la luce di Cristo è più forte e perciò vive in una speranza non vaga, in una speranza
che dà certezza e dà coraggio per affrontare il futuro”.
Al
termine delle catechesi in lingua, Benedetto XVI ha salutato con calore il cardinale
arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, venuto a Roma per consegnare al Papa i
primi due esemplari del nuovo Lezionario Ambrosiano. Nel ringraziare la Chiesa milanese,
il Pontefice ha definito il dono un gesto “carico di significato ecclesiale” e un
“grande dono per l’intera Comunità ambrosiana”. Sia per voi, ha soggiunto, “strumento
prezioso per un rinnovato impegno missionario nell’annunciare il Vangelo in ogni ambito
della società”.