Congo: il leader dei ribelli minaccia di attaccare Kinshasa
Il mondo della politica cerca nuove soluzioni alla grave crisi nella Repubblica Democratica
del Congo: sulla drammatica situazione nella martoriata regione congolese del Nord
Kivu si terrà venerdì 7 a Nairobi, in Kenya, un vertice internazionale. Il leader
dei ribelli, l’ex generale Laurent Nkunda, ha minacciato intanto di far marciare i
suoi uomini verso la capitale Kinshasa se il governo continuerà a rifiutarsi di negoziare.
Sul versante umanitario lo scenario è poi sempre più preoccupante, come spiega al
microfono di Giovanni Augello un missionario italiano che da più di 30 anni opera
nel Sud Kivu e che, per motivi di sicurezza, preferisce mantenere l'anonimato: R.
- La gente vive una situazione drammatica anche perché è stata dimenticata per mesi,
se non per anni. La questione umanitaria, nonostante tutto l’allarme sollevato, è
stata messa in seconda linea. La gente da mesi si sposta da una parte all’altra della
zona, sapendo che la regione è molto alta: si arriva fino ai 2300 metri. Siamo poi
nella stagione della piogge e quindi fa freddo e c’è vento. Piove regolarmente, minimo
una volta o due al giorno. Questa gente è abbandonata e senza tende. Ha mezzi di fortuna
e non può coltivare la terra. Adesso, con le piogge, è una situazione disperata che
crea nell’animo della gente un sentimento non proprio di rabbia: è come se il mondo
l’avesse dimenticata. La gente è inerme, sono contadini o pastori.
D.
- La popolazione locale è a conoscenza di quel che sta accadendo e delle ragioni di
questo conflitto?
R. - Sì, la gente lo sente, lo
vive, lo subisce, perché non ha mezzi per poter reagire. C’è l’esercito nazionale,
ma tutti sanno che è un esercito di "carta". Molti hanno amici, parenti e conoscenti
nelle zone teatro del conflitto e quindi sanno esattamente tutto quello che succede.
Per questo, la gente ha una reazione ostile alla presenza internazionale che dovrebbe
assicurare la pace.
D. - Come riescono a giungere
in zona le armi imbracciate dai guerriglieri, nonostante la presenza della missione
ONU nel Paese?
R. - La ricchezza del Paese permette
che la guerra non finisca. Sappiamo che durante tutti gli anni di questa guerra, alla
base del conflitto ci sono state le risorse del territorio: il koltan, l’oro e i diamanti.
Ora, è chiaro che con queste risorse si possono procurare tutte le armi che si vogliono.
Le armi che attualmente posseggono - non parlo dell’esercito nazionale - sono abbastanza
moderne. La missione dell’ONU è una missione di osservazione e quindi non previene
determinate situazioni. E’ quello che la gente vede, sente, e non può più accettarlo
perché, nonostante la presenza dell’ONU, le cose si fanno esattamente come se il contingente
delle Nazioni Unite non fosse presente.