Il cardinale Caffarra ricorda la figura del Servo di Dio Giuseppe Fanin
“Essere dentro la società come cristiani (…) senza lasciarsi vincere dall'insidia
di separare l'esperienza della fede dall'esperienza umana; ciò che si celebra alla
domenica da ciò che si vive il lunedì”. E’ quanto si richiede ai laici cristiani secondo
il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, intervenuto ieri a San Giovanni
in Persiceto per ricordare il 60.mo anniversario dell'assassinio del Servo di Dio
Giuseppe Fanin. L’agronomo cattolico, ucciso il 4 novembre del ‘48 nell'ambito dei
delitti commessi nel dopoguerra nel cosiddetto “triangolo rosso” emiliano, è infatti
testimone esemplare di quella coerenza che deve informare l’agire cristiano: fu proprio
a causa di questa “unità fra il credere e il vivere” – ha ricordato il porporato -
che Fanin fu ucciso. Ma l’esercizio di questa coerenza – spiega l’arcivescovo di Bologna
ricordando San Paolo – implica per il cristiano la capacità di non lasciarsi trasportare
dalle mode culturali del tempo e da chi produce il consenso sociale, per invece interpretare
e giudicare ciò che accade alla luce del Vangelo. Fondamentale a questo scopo è la
formazione culturale del cristiano, che, traendo ispirazione dalla preghiera e dalla
familiarità con la Parola di Dio, nell’esercizio della fede dà forma ad uno stile
di vita, genera cultura. “Ciò che ci impedisce di essere sballottati da ogni vento
di dottrina – ribadisce il cardinale Caffarra – è pensare come Cristo”, trarre nutrimento
al pensiero e all’agire dalle Sacre Scritture e dedicarsi alla pratica degli esercizi
spirituali (…) secondo l’esempio del Servo di Dio Fanin. (C.D.L.)