Con l’amore di Gesù è possibile una nuova vita per i ragazzi di strada brasiliani:
la testimonianza di padre Renato Chiera
“I bambini non sono il problema, ma la soluzione”: è questo lo spirito che da oltre
trent’anni anima padre Renato Chiera impegnato per il riscatto dei “ragazzi di strada”
brasiliani. Fondatore della “Casa do Menor” di Rio de Janeiro ed ora anche nel nord
del Paese, a Recife, padre Chiera, con la sola forza dell’amore evangelico, ha salvato
dalla strada centinaia di “meninos de rua”. Inoltre, il missionario piemontese si
prodiga ora per offrire a questi ragazzi un’occasione di lavoro attraverso l’economia
di comunione, iniziativa nata nell’ambito del Movimento dei Focolari. Intervistato
da Lucas Duran, padreRenato Chiera sottolinea il valore della
sua esperienza alla “Casa do Menor”:
R. – Vuole
essere la presenza dell’amore di Dio per chi non è figlio. Io dico sempre che la grande
tragedia non è solamente essere poveri, c’è una tragedia più radicale: non essere
amato da nessuno, non avere nessuno che la sera ti aspetta a casa. E allora noi, cosa
vogliamo fare? Vogliamo ridare a questi ragazzi, distrutti dalla mancanza di amore,
la gioia di vivere e di sentirsi amati e di poter imparare ad amare. D.
- Il profilo del ragazzo di strada di cui stiamo parlando? R.
– E’ l’espressione radicale dell’esclusione assoluta, della mancanza di rapporti nella
famiglia. Generalmente hanno famiglie distrutte, sono esclusi, nessuno li vuole, sono
pericolosi, si drogano, assaltano, entrano nel narcotraffico, sono potenziali delinquenti
o lo sono già di fatto. Quindi c’è l’esclusione sociale e l’esclusione economica perché
sono il frutto della mancanza di rapporti di reciprocità nell’economia, di amore reciproco,
come dice il Vangelo. Sono l’espressione estrema di tutti i tipi di esclusione; sono
ragazzi che cominciano ad andare in strada perché sono picchiati in casa, subiscono
violenza, abusi sessuali, c’è di tutto. Cominciano a stare in strada e lì fanno gruppo
e poi entrano molto spesso nel narcotraffico: cominciano a drogarsi, a spacciare droga,
devono uccidere, devono essere pronti a tutto, ad uccidere anche un loro amico per
un “reale”, la moneta brasiliana. Quindi sono figli della distruzione dell’amore e
noi li dobbiamo recuperare con l’amore. D. – Padre Renato, voi
come entrate in contatto con loro e quale prospettiva gli offrite? R.
– Devono sentirsi amati. Noi siamo “programmati” per essere amati e poi impariamo
ad amare. Allora, noi abbiamo il contatto nella strada, io ho 66 anni ma ancora vado
in strada, ci vado volentieri. Lì è l’approccio di strada, noi lo chiamiamo “innamoramento”,
noi facciamo sentire loro che noi siamo là perché vogliamo loro bene e loro ci chiedono:
“Ma perché mi vieni dietro” perché sentono che noi andiamo dietro loro con un altro
scopo, che non abbiamo interessi di nessun senso perché sono anche sospettosi. Però,
quando capiscono che noi siamo là per amore, allora, cominciamo un dialogo, li ascoltiamo,
non vogliamo insegnare niente, vogliamo amarli come sono, senza giudicarli, vogliamo
sapere perché sono là, cosa fanno, se sono contenti di essere là, se vogliono continuare
e noi lo rispettiamo. Però, quando abbiamo già creato un rapporto, gli diciamo: “Senti,
vuoi stare in strada, vuoi stare nel narcotraffico, nella prostituzione, questa vita
ti piace o sogni un’altra vita?” Loro mi rispondono: “Ma chi sei tu, cosa proponi?
Ma c’è un’altra vita? E’ possibile? Io sono otto anni che sono in strada”. Un altro
ci dice: “Io sono cinque anni che vivo in strada, la società ci vede male, nessuno
ci dà un’opportunità”. Molte volte, io porto con me dei ragazzi che erano stati in
strada e dico a questi ragazzi: “Parlate un po’ con lui, lui era come voi”. Allora
incominciamo questo dialogo, cominciamo ad aiutarli a sognare che è possibile un’altra
maniera di vivere. D. – Questo percorso di formazione, funziona,
escono quindi nuove vite dalla vostra Casa do menor? R. – Bravo,
tu hai detto “nuove vite”! Non è sufficiente dare degli aiuti sociali, bisogna fare
uomini nuovi e noi facciamo questo: cominciano a provare una vita nuova e dicono:
“Mah, è molto meglio questo che la droga adesso sono felice!” Prima c’era un buco
nel mio cuore che io cercavo di riempire con la droga, con il sesso; qui non serve,
lo sai che funziona... Quando amo, io sono felice.” Allora, noi vediamo che il Vangelo
recupera, Gesù ci insegna a vivere quel progetto che Lui ha su di noi.