Sempre più grave l'emergenza umanitaria nel Nord Kivu
La Repubblica Democratica del Congo è in piena emergenza umanitaria per l’offensiva
dei ribelli tutsi che assediano Goma, la capitale del Nord Kivu, al confine con il
Rwanda. I soldati governativi, insieme con migliaia di civili, sono in fuga dalla
città. Il contingente dell’ONU non riesce ad arginare le violenze. Dal Pontificio
Consiglio Giustizia e della Pace arriva, intanto, un accorato appello. Il servizio
di Amedeo Lomonaco:
“Il mondo
non può continuare a guardare senza reagire la morte di innocenti vittime di atti
di violenza e di barbarie, né disinteressarsi della sorte di decine di migliaia di
sfollati che fuggono la guerra e sono esposti alle intemperie, alle malattie e alla
fame”. E’ quanto dichiara il cardinale Renato Raffaele Martino,
presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, commentando la tragica
situazione nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo. Il porporato rivolge
anche un appello alle parti in conflitto “affinché rinuncino alla logica del confronto
e delle armi, scelgano il dialogo e le negoziazioni e che, in un sussulto di umanità,
mettano il bene comune al di sopra di interessi egoistici”. Alla comunità internazionale
si chiede inoltre che “intervenga con tutto il suo peso nella risoluzione del conflitto”.
L’Unione Europea, in base a quanto rivelato dal ministro degli Esteri francese, Bernard
Kouchner, esaminerà oggi o domani la possibilità di una missione militare nella Repubblica
Democratica del Congo. Nel Paese, intanto, i ribelli guidati dall’ex-generale
Laurent Nkunda hanno dichiarato un cessate il fuoco unilaterale dopo giorni di violenti
scontri con l’esercito ed i soldati dell’ONU nella provincia del Nord Kivu. La situazione
umanitaria è drammatica: le truppe regolari si sono ritirate dalla città di Goma e
centinaia di migliaia di civili sono in fuga. Sulle cause di questo
nuovo conflitto nel Paese africano, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco
il giornalista Michele Luppi, appena rientrato dalla regione del Nord Kivu: R. – Credo che
i problemi del Congo siano legati a tutta una serie di questioni. Tra queste, la mancanza
di un controllo del governo centrale su quei territori. Quelle terre e soprattutto
il Rwanda, il Burundi e le regioni dei Grandi Laghi sono inoltre zone ad altissima
densità demografica. Negli ultimi decenni c’è stato un continuo flusso di popolazioni
verso le terre del Kivu, che erano terre invece dove la densità della popolazione
era minore. Sono terre ricche non solo di risorse, di coltan, di oro, ma anche di
pascoli, di campi da coltivare. Quindi, vi è una pluralità di fattori che è alla base
di questa guerra. Certamente, la fragilità dello Stato congolese, in questo caso,
non aiuta. Soprattutto, quello che spaventa di più, al di là della grandissima crisi
umanitaria, sono le continue accuse tra il governo congolese di Kinshasa e il Rwanda.
La preoccupazione è quella che questo conflitto interno, portato avanti dal gruppo
ribelle guidato dall’ex generale Nkunda, possa poi sfociare in una guerra molto più
ampia, che coinvolga il vicino Rwanda. D. – Perché si è arrivati
al fallimento dell’accordo di pace firmato a gennaio? R. – Quello
che bisogna capire è chi ha voluto che fallisse, chi sta in qualche modo soffiando
sul fuoco di questa guerra. Il gruppo ribelle guidato da Nkunda, infatti, non è consistente
dal punto di vista numerico. Deve avere un rifornimento di armi, un appoggio da parte
di qualcuno. E dall’altra parte, le Nazioni Unite sembrano impotenti di fronte a questa
avanzata. Credo, quindi, che ci sia qualcuno che debba iniziare a dare delle risposte
a questa situazione. D. – A proposito di risposte, l’intervento di una
forza internazionale diventa una priorità per riportare la pace? R.
– Dipende tutto da come agisce questa forza internazionale. Non dobbiamo dimenticare
che oggi nella Repubblica Democratica del Congo c’è la più grossa missione di pace
delle Nazioni Unite con ben 17 mila uomini, di cui 8 mila sono concentrati nel Nord
Kivu. Quello che non si capisce è come, nonostante questa importante presenza delle
Nazioni Unite, non si riesca ancora a porre fine alla guerra. Certamente, è auspicabile
l’invio in Nord Kivu di una forza di pace, di una forza di interposizione. Ma deve
essere una forza che sia in grado, per volontà e per quelle che sono le regole di
ingaggio, di fare realmente qualcosa per fermare i ribelli. D.
– Legato a questo conflitto, come ad ogni guerra, c’è anche il dramma umanitario.
Quali sono le condizioni dei civili e in particolare dei profughi? R.
– La situazione è drammatica, è drammatica soprattutto perché nelle ultime ore quelli
che erano gli sfollati che già vivevano nei campi profughi sono stati costretti a
fuggire un’altra volta. L’Alto Commissariato ONU dei rifugiati parla di altri 250
mila profughi nell’ultimo mese; l’avanzata dei ribelli renderebbe estremamente difficile
per le agenzie umanitarie prestare soccorso a queste persone. D.
– Sei stato di recente nel Nord Kivu. Quale situazione hai trovato? R.
– Quello che si percepiva era la preoccupazione della gente che né l’esercito congolese,
né le Nazioni Unite sarebbero riuscite a bloccare l’avanzata dei ribelli, quando questi
avessero voluto. E’ quello che, purtroppo, è successo negli ultimi giorni.