Presentato a Roma il libro "La mia Birmania", dialogo con Aung San Suu Kyi
“La mia Birmania” è il titolo di un libro appena uscito in Italia nel quale si ritrovano
le conversazioni tra il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, da 13 anni agli
arresti domiciliari, e il giornalista Alan Clements, primo americano a diventare monaco
buddista. Colloqui avvenuti tra il 1995-1996 nei quali si riflette la “rivoluzione
dello spirito” definita così dalla stessa leader della Lega Nazionale per la Democrazia,
il partito che nel 1991 vinse le elezioni. Tale affermazione non è stata però mai
riconosciuta dai militari al potere. Il libro è stato presentato ieri a Roma. C’era
per noi Benedetta Capelli: “Fisicamente
è elegante e minuta ma in statura morale è un gigante”. E’ la definizione dell’arcivescovo
anglicano e premio Nobel per la pace, Desmond Tutu, di Aung San Suu
Kyi, la leader birmana da 13 anni ai domiciliari e in attesa, proprio in questi giorni,
di sapere se la Giunta militare rinnoverà il fermo. Una vita rinchiusa in una casa
senza energia e telefono ma spesa nel segno del dialogo e della non-violenza. Una
forza sottolineata anche da Alan Clements autore del libro “La
mia Birmania”:
R. – She seems to thrive... Lei
nutre la speranza nei suoi stessi principi. E’ un concetto semplice perché così come
condividiamo la stessa aria che respiriamo, condividiamo anche la stessa libertà.
La mia libertà e la tua libertà sono inseparabili ed è questo quello che conta….
Quasi
400 pagine, una sezione di fotografie del premio Nobel per la pace e delle manifestazioni
organizzate dagli studenti birmani tra la fine degli anni Ottanta ad oggi. Un libro
nel quale non emergono le difficoltà affrontate da Clements come la cancellazione
delle registrazioni dei loro colloqui o le pistole più volte puntate alla tempia e
nemmeno lo scrittore le menziona:
R. – They are insignificant... Non
ci sono state difficoltà reali o comunque sono insignificanti rispetto alla condizione
in cui vivono le persone che ho intervistato. Molti sono dispersi, altri sono stati
uccisi, torturati e il resto sono quasi tutti in prigione. La lotta più grande è stata,
in un certo senso, interrogarmi sul perché scrivere questo libro in mezzo a così tanto
dolore e alla fine, il perché è far sì che la sua voce venisse sentita al di fuori
del suo Paese, dove lei rimane per lo più in silenzio.
Il silenzio,
quello della comunità internazionale, è evocato da Cecilia Brighi
della CISL Internazionale per raccontare il presente del Myanmar dopo la protesta
dei monaci buddisti, il rifiuto degli aiuti da parte dei militari di fronte al passaggio
del ciclone Nargis a maggio: R. – E’ un silenzio carico di
interessi, perchè molti Paesi fanno affari con la Giunta militare e quindi c’è una
pavidità nel voler affrontare veramente con coerenza la questione birmana ai vari
livelli delle istituzioni internazionali.
Si lavora per le elezioni
del 2010 che si auspica siano nel segno della trasparenza e della democrazia. Un appuntamento
cui si guarda con interesse anche se non mancano nuove denunce nel campo dei diritti
umani. L’ultima è di Amnesty International, Anna Violante:
R.
- Quello che più mi preme dire riguarda i crimini contro l’umanità che si stanno
compiendo nel sud-est del Paese ai danni della popolazione karen. Negli ultimi 3 anni,
il target attaccato non è più quello dei movimenti di liberazione nazionale armati
ma la popolazione civile. La gente scappa nella giungla e chi non riesce a scappare
viene torturato e ucciso. Negli ultimi tre anni le persone spodestate di tutti i loro
averi in territorio karen sono 150 mila.
Intanto resta forte l’eco
delle stesse parole di Aung San Suu Kyi: “Abbiamo fede nel potere di cambiare ciò
che va cambiato ma non ci illudiamo;…sappiamo che la sfida più grande è ancora davanti
a noi ma non siamo soli”.