Il Movimento per la Vita presenta un libro sul caso Eluana e il testamento biologico
“Eluana è tutti noi. Perché una legge e perché no al ‘testamento biologico’”. E’ il
titolo del volume presentato oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa organizzata
dal Movimento per la Vita. Un’occasione per offrire un contributo alla riflessione
dei parlamentari occupati ad esaminare le proposte finora presentate ed alla riflessione
dei giudici che dovranno intervenire sulla vicenda di Eluana. “Se una legge si deve
fare - si legge nel testo – ch’essa garantisca la vita di Eluana e non permetta in
alcun modo l’introduzione, in qualsiasi forma, diretta o surrettizia, di strumenti
o logiche eutanasiche”. Perché, dunque, sì ad una legge e no al testamento biologico?
Debora Donnini lo ha chiesto a Carlo Casini, presidente del Movimento
per la Vita e deputato europeo, che ha presentato il libro: R.
- No al testamento biologico perché nell’accezione che queste parole hanno in tutto
il mondo, significa decidere sulla propria morte, decidere sulla propria vita. Questo
è inammissibile in una visione umanistica che riconosce l’indisponibilità della vita
umana, anche della propria vita. Quindi “no” ad un testamento cioè ad una dichiarazione
che abbia un effetto vincolante per il medico e che sia proposta in un momento lontano
da quello della malattia; “sì” ad una legge che sia contro il testamento biologico
perché la recente sentenza della Corte di Cassazione sul caso Eluana, ha già modificato
in parte l’ordinamento giuridico italiano e rischia di peggiorarlo ancora. Non solo
ha ammesso il testamento biologico, in pratica, anche se non lo nomina, ma ha ammesso
che la volontà di morire di una persona possa essere ricavata anche dalla sua semplice
sensibilità, anzi addirittura, si scrive, dal giudizio che ciascuno dà della sua dignità.
Questo è assurdo: la dignità è un dato oggettivo.
D.
– Quindi, quali sono alcuni dei paletti che voi chiedete in una legge?
R.
– Dovendosi occupare di una norma, auspicherei che ci occupassimo dell’intera problematica
del fine vita: la lotta contro il dolore, le cure palliative vanno considerate. Inoltre
i comportamenti tipici ed elementari della vita, quale il mangiare, il respirare,
il bere, sono comportamenti su cui non si può mettere l’ipoteca di una decisione di
non mangiare, di non bere, di non respirare, cioè, quasi a dire “io posso disporre
di morire per fame, per sete e simili”. No, queste non sono terapie. Il discorso di
un’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente il dialogo, e quindi ascoltarsi
reciprocamente e decidere insieme, è indispensabile ma non si potrà mai attribuire
al paziente l’autodeterminazione sulla propria vita, sulla propria morte e soprattutto
un potere di comando su quello che il medico deve fare. Quali che siano gli auspici
del paziente, è il medico, in scienza e coscienza, che deve decidere la terapia; in
nessun caso, mai, un medico può decidere con comportamenti attivi o passivi - quale
per esempio la sospensione delle cure quando le cure servono ancora - può decidere
di uccidere una persona.
D. – Quali sono, secondo
voi, le tendenze eutanasiche presenti nelle proposte di legge che invece vorrebbero
il testamento biologico?
R. – In molte proposte di
legge si scrive: “no” all’eutanasia, poi però si dice “sì” al testamento biologico.
Allora, il testamento biologico è il grimaldello per introdurre l’eutanasia, inteso,
il testamento biologico, nelle parole e nelle conseguenze, come una facoltà di decidere
in modo autonomo: difatti si parla di autonomia sulla vita umana.