Non conoscono tregua le violenze in Iraq nei confronti dei cristiani di Mosul. Ieri
– si legge in una nota dell’agenzia Asianews - nel quartiere di Sanaa, sono stati
uccisi padre e figlio. Non sono ancora note le identità delle vittime ma l’omicidio
potrebbe rappresentare un ulteriore segnale affinché i cristiani abbandonino il Paese.
Il premier iracheno Al Maliki, riferendosi alle violenze delle ultime due settimane
contro i cristiani in città, ha promesso di “punire colpevoli e fiancheggiatori” e
ha chiesto “l’aiuto e la collaborazione di tutta la società", perché siano "gli iracheni
stessi a sconfiggere quanti vogliono trascinare la nazione nel caos e azzerare la
presenza cristiana". Il bilancio attuale è di 14 morti, 10mila persone in fuga e cinque
case distrutte da attacchi bomba. Il primo ministro, durante un incontro con una delegazione
di leader religiosi ha confermato che “le violenze di Mosul fanno parte di un preciso
piano politico interno al Paese”. Al Maliki ha inoltre reso nota l’intenzione di allargare
“la presenza dei cristiani all’interno delle forze di sicurezza e nella polizia, anche
a livello di ufficiali” per garantire una maggiore protezione. Contemporaneamente
ha invitato il ministero iracheno per i migranti a fare di tutto perché “si possa
agevolare il rientro a casa dei cristiani”. Anche l’arcivescovo di Kirkuk, mons.
Louis Sako, ha parlato di un “gioco politico legato alle prossime elezioni” e al
progetto della creazione “di una enclave cristiana nella piana di Ninive”. Una collaborazione
attiva da parte del governo, la possibilità di far tornare gli studenti a scuola e
gli adulti al lavoro in condizioni di sicurezza e un risarcimento danni per le persone
alle quali è stata distrutta la casa. Sono queste le richieste avanzate da una delegazione
cristiana al vice-premier, sindaco e governatore di Ninive, Rafeaa al-Eissawi. (F.A.)