Il commento del teologo, don Massimo Serretti, al Vangelo della Domenica
La liturgia della 29.ma Domenica del Tempo ordinario presenta il celebre passo del
Vangelo nel quale i farisei, volendo cogliere in fallo Gesù, gli chiedono se sia lecito
o meno pagare il tributo a cesare. Ed egli, conoscendo la loro ipocrisia, si fa mostrare
una moneta con l'effigie dell'imperatore e replica:
"Rendete dunque a Cesare
quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".
Su
questo passo del Vangelo, ascoltiamo il commento del teologo, don Massimo Serretti,
docente di Cristologia alla'Università Lateranense:
(Musica)
Non
si può non ricordare che l'insegnamento di Gesù: "Rendete a Cesare quello che è di
Cesare e a Dio quello che è di Dio" ha segnato tutta la storia dell'Occidente cristiano.
Nei
secoli esso ha impedito la fusione dei due ordini, ha impedito ai cristiani l'idolatria
delle forme politiche e statuali e la sottomissione delle Chiese ai poteri mondani.
Ma, stabilendo un primato, ha anche suggerito la necessità di un nesso che però non
travalicasse mai la distinzione.
Inoltre, chiedendo
di mostrargli la moneta, Gesù pone la questione della proprietà: «Di chi è ...?» E
dopo aver posto l'interrogativo sulla proprietà, presenta la necessità della restituzione
(apodosis).
Noi siamo proprietà di Dio. "Moneta
di Cristo è l'uomo; in essa c'è l'immagine di Cristo... il nome di Cristo... i benefici
di Cristo", scrive Agostino (Serm. 90,10,116s.).
Essendo
noi proprietà di Dio, Suo possesso, il dare a Lui noi stessi è un rendere (redditio),
un ridare. L'uomo che sa "di chi è", può concepire il rendere e il ridonare come qualcosa
di perfettamente consono alla sua origine e alla sua natura. L'uomo che non sa più
"di chi è" è totalmente incapace di una vera offerta di sé, avvertendo la donazione
come una perdita, una possibile sparizione di sé.