Allarme della Caritas: 15 milioni di persone a rischio povertà in Italia
Sono 7 milioni e mezzo gli italiani che vivono al di sotto della povertà relativa,
altrettanti sono da considerarsi indigenti. Gli italiani poveri sono quindi circa
15milioni. E’ la stima di Caritas italiana che ieri assieme alla fondazione Zancan
ha presentato l’ottavo rapporto su emarginazione ed esclusione sociale, dal titolo
“Ripartire dai poveri”. Servizio di Francesca Sabatinelli.
Il 13% della
popolazione italiana sopravvive con meno di 500-600 euro al mese, accanto a questi
poveri, ci sono i quasi poveri, persone al di sopra della soglia di povertà per una
somma non superiore ai 15 euro al mese. Il rapporto Caritas Fondazione Zancan mette
l’Italia di fronte ad una gravissima emergenza: il Paese presenta una delle più alte
percentuali di popolazione a rischio povertà in Europa, insieme a Grecia e Ungheria
è l’unico Paese non dotato di misure basilari di intervento contro la povertà. Persone
non autosufficienti e famiglie con figli sono le due fasce maggiormente in difficoltà,
chiarisce il rapporto, che sottolinea come fino ad oggi le politiche non siano mai
partite dalla persona, né tantomeno abbiano applicato il principio di equità sociale
e di universalismo selettivo. Basta agli interventi a pioggia, si ribadisce, basta
all’assistenza erogata a livello centrale piuttosto che a livello locale, si deve
affrontare con urgenza il passaggio da trasferimenti monetari a servizi. Nel rapporto
si spiega anche come sia possibile rispondere ai problemi della povertà senza aumentare
la spesa complessiva per la protezione sociale, ma riallocando una parte delle risorse
destinate alla spesa sociale, prendendo in particolare in esame la spesa per indennità
di accompagnamento e la spesa per assegni sociali. Di fronte alle montagne di soldi
pubblici che in questi giorni sono stati utilizzati per risollevare la finanzia mondiale,
ci si chiede dunque, perché non fare altrettanto per soccorrere chi lotta quotidianamente
per sopravvivere all’indigenza e alla precarietà. L’Italia, spiegano Caritas e Fondazione
Zancan, ha bisogno di un piano nazionale strutturato e permanente. Ascoltiamo mons.
Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Cancan:
R.
– Difficile dire che la nostra società politica, sociale, abbia impostato il proprio
programma governativo con questa logica di ripartire dai poveri. Questo progetto fa
parte anche dell’essenza della vita della Chiesa e dobbiamo dire che abbiamo avuto
difficoltà anche noi ad attuare questo. Ci stiamo, però sforzando. Il discorso è che
la povertà non è un problema di assistenza, ma è un problema di scelte politiche.
D.
– Le politiche che vengono attuate e che sono nel programma del governo, secondo voi
rispondono a ciò?
R. – Assolutamente no. Il provvedimento
dell’ICI, per esempio, è stato quasi inesistente agli effetti di ridurre la povertà,
perché ridurre l’ICI per i proprietari vuol dire che a noi interessa quel tipo di
persone che hanno una proprietà di una casa e che il 20 per cento della popolazione
che vive in affitto, e soprattutto quella parte del 20 per cento che non ha neanche
i mezzi per pagare l’affitto, non ci interessa e, quindi, non gli diamo niente, ma
diamo a quelli che già hanno. Va molto bene togliere la tassa dell’ICI - io sono contento
per loro - ma questa non è una strategia di lotta alla povertà, perché i poveri sono
stati ignorati.
D. – Il rapporto mette come condizione
il fatto che si riparta dalla persona. Si è puntualizzato però come pur essendoci
i soldi per salvare le grandi banche, la grande finanza, si dimentichino sempre le
persone, come per i poveri non ci sia mai denaro...
R.
– Indubbiamente, il modo con cui sta per essere affrontata questa grande crisi mondiale
mette in discussione delle logiche. Il sistema liberista, capitalista non ha mai messo
in discussione il fatto che lo Stato debba intervenire in maniera pesante sull’economia,
per cui l’economia ha camminato con le sue leggi e ha portato anche a dei disastri,
come abbiamo visto. Adesso ci si accorge di questo, dicendo che il governo deve intervenire
per impedire che ci siano a cascata dei danni crescenti nei confronti della popolazione.
Punto da verificare è che i poveri sono parte di questa società: ricevono dalla società
quello di cui hanno bisogno per riuscire a realizzare il loro programma di vita? Riescono
a far sentire la loro voce? La “Sollecitudo rei socialis” quando parla del bene comune
dice che è il bene di tutti e di ciascuno, soltanto in questo caso è bene comune,
di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo responsabili di tutti. Che il 13 per cento
della popolazione non abbia il sufficiente per una vita dignitosa e non conti nelle
grosse scelte politiche vuol dire che il cammino è da costruire. E ripartire vuol
dire partire dalla Costituzione, dalle leggi che ci siamo dati. Guardiamoci allo specchio
per vedere se siamo fedeli a questa Costituzione oppure no. Oppure dobbiamo dire con
chiarezza che questo regime, cosiddetto democratico, non ci va più bene, perché democratico
vuol dire governo di popolo e vuol dire che il popolo è fatto di tutti i cittadini
e deve essere presente per tutti i cittadini.