Oltre cento talebani sono stati uccisi nel sud dell’Afghanistan in due distinte operazioni
condotte delle truppe NATO insieme con l’esercito di Kabul. Ma la situazione sul terreno
rischia di sfuggire di mano alle truppe della coalizione internazionale che controllano
il territorio, coadiuvando il governo nella lotta contro la guerriglia talebana. L’intelligence
americana ha lanciato l’allarme accusando il presidente Karzai - che ieri varato un
rimpasto di governo - di non saper fronteggiare la ribellione che, giorno dopo giorno,
diventa sempre più minacciosa nei confronti delle istituzioni in carica. Sulla situazione
esistente nel Paese, Giancarlo La Vella ha raccolto l’analisi di Alberto
Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore:
R. - Il
rischio degli occidentali in Afghanistan è lo stesso che hanno passato gli altri occupanti
del Paese nel corso della storia, a partire dal russi alla fine degli anni Settanta
e Ottanta, che riversarono in Afghanistan 200 mila soldati soltanto nel tentativo
di controllare il sud del Paese. Siamo di fronte ad una guerriglia tenace, una guerriglia
che non ha bisogno di vincere delle battaglie, le basta soltanto tenere sotto pressione
il nemico. E questo spiega anche perché i talebani del mullah Omar non siano ancora
arrivati ad un accordo con il governo centrale di Kharzai. Sanno se non di poter vincere,
comunque di non perdere questa guerra. D. - Perdere il controllo
dell’Afghanistan a quale rischio espone per gli equilibri in tutta la regione? R.
- Lo abbiamo visto molto chiaramente: l’Occidente non è riuscito ancora a pacificare
il Paese e molto più velocemente, invece, si sta "talebanizzando" il vicino Pakistan,
dove nelle zone tribali abbiamo visto quanto sia forte la presenza non solo dei talebani
afghani ma ormai anche di talebani pakistani. E’ questo rischio di talebanizzazione
e di destabilizzazione del Pakistan a costituire il vero pericolo. Un tempo, il Pakistan
era un Paese che influenzava l’Afghanistan e anche l’ascesa dei talebani è stata dovuta
all’influenza di Islamabad. Oggi, è l’Afghanistan che condiziona il Pakistan. D.
- Un altro allarme che viene dall’Afghanistan è l’aumento esponenziale delle colture
da oppio. Sono tutti introiti che vanno ad alimentare la guerriglia? R.
- La coltura dell’oppio alimenta non soltanto la guerriglia, ma anche i “signori della
guerra” che non sono mai andati via dall’Afghanistan: alcuni sono entrati nel governo,
altri comunque continuano ad esercitare la loro influenza in varie zone del Paese
e dalla coltura dell’oppio hanno comunque sempre tratto grandi utili e profitti. D.
- Si può fare un parallelo con quanto sta avvenendo in Iraq, dove la situazione non
è certo facile? R. - Si può fare un parallelo in questo senso:
in Iraq, la grande mossa è stata quella del generale Petraeus di mettere sul libro
paga la guerriglia dei sunniti, e in qualche modo la violenza non si è fermata, è
ancora pericolosa ma è diminuita di molto, anche se l’obiettivo di consolidare l’Iraq
non è stato raggiunto. E’ comunque stato raggiunto l’obiettivo di portare dalla parte
del governo e degli americani una quota consistente della guerriglia sunnita. In Afghanistan,
questo non è avvenuto, o perlomeno è avvenuto soltanto nel momento iniziale, quando
è caduto il regime, nel 2001, e poi, successivamente, nel 2002. Poi, invece, i talebani
si sono riorganizzati e addirittura hanno ripreso forza e consistenza e, a questo
punto, anche le offerte di negoziato da parte di Kharzai non appaiono loro ancora
convincenti.