Le sfide della modernità - tra globalizzazione e secolarismo - al centro dei lavori
sinodali di ieri pomeriggio, in Vaticano. La riflessione di mons. Rino Fisichella
La globalizzazione, i rischi del secolarismo, la sfida delle moderne tecnologie per
annunciare il Vangelo: il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio ha concluso ieri
pomeriggio la sua prima settimana di lavori, riflettendo su questi temi. In primo
piano, anche i problemi della povertà e dell’emarginazione nel mondo. Il servizio
di Isabella Piro:
La globalizzazione
riduce il mondo ad un piccolo villaggio, in cui sembrano prevalere violenza e terrorismo.
Il secolarismo rischia di far coincidere l’etica con le richieste collettive e di
convincere l’uomo del fatto che non occorre rivolgersi a Dio per spiegare il senso
della vita. I giovani sono frustrati nei sogni e disincantati nella fede. È una fotografia
amara della società quella scattata dai Padri sinodali. Un’immagine però - è stato
detto - che può cambiare grazie alla Parola di Dio, che crea la civiltà del bene e
dell’amore e che dà un codice di vita all’uomo moderno. Annunciare la Buona Novella,
allora - è emerso in Aula - è il modo per salvare il mondo e per accendere i cuori
della gente. E per diffondere la bellezza del Verbo Divino, il Sinodo guarda anche
alle tecnologie moderne ed informatiche, utili soprattutto per accostarsi ai giovani.
Centrale, poi, tra i temi esaminati dai padri sinodali, quello
della povertà e dell’emarginazione nel mondo. La Chiesa deve reagire alla cause strutturali
di queste piaghe - si è detto in Assemblea - per portare le popolazioni alla liberazione,
guidati dalla Parola di Dio. Toccata, inoltre, la questione dell’evangelizzazione
in alcuni Paesi dell’America Latina, in cui le culture indigene hanno camminato per
lungo tempo parallelamente al cammino evangelico. Con risultati già evidenziati dalla
Conferenza di Aparecida: molti battezzati e pochi evangelizzati. Infine,
l’invito lanciato dai partecipanti al Sinodo affinché i fedeli riscoprano la bellezza
di Dio silenzioso, che ci è vicino nell’amore anche quando non parla. E che, come
accade il Venerdì Santo, tace per aiutarci a comprendere meglio lo splendore della
Risurrezione.Sull'andamento dell'assise vaticana, Isabella Piro
ha raccolto le impressioni di uno dei padri sinodali, l'arcivescovo Rino Fisichella,
presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e rettore della Pontificia Università
Lateranense: R. - Devo dire
che è sempre un’esperienza unica quella del Sinodo, perché ci consente non solo di
conoscerci fra noi, ma soprattutto di comprendere quelle che sono le diverse situazioni
della Chiesa nelle varie parti del mondo. Il centro rimane pur sempre la Parola di
Dio, quella Parola che tutti noi vescovi sappiamo e che siamo chiamati a servire e
non a dominare, che siamo chiamati ad interpretare autenticamente e, quindi, a poter
dare e a poter comunicare al nostro popolo anzitutto il frutto della nostra esperienza
di fede. D. - Da più parti è emerso l’invito a riconsiderare
il valore effettivo delle omelie. Un suo parere su questa proposta? R.
- L’omelia è certamente uno dei momenti più importanti nella vita di un vescovo e
di un sacerdote, perché è il momento in cui è chiamato ad annunciare direttamente
il Vangelo collegandolo con la vita. Sappiamo anche che molti cristiani ascoltano
la Parola di Dio soltanto quando vengono alla Messa la domenica e questa è una responsabilità
molto grande e che richiede anzitutto la nostra consapevolezza di annunciare una Parola
che non è nostra. San Paolo ha una bella espressione perché dice: “Voi avete accolto
la Parola che io vi ho annunziato, non come parola di uomini, ma per quello che è
veramente, come la Parola di Dio”. Abbiamo, quindi, questa grande responsabilità e
davanti a questa responsabilità scopriamo che dobbiamo anzitutto viverla in prima
persona, ma dobbiamo però anche comprenderla nella maniera giusta, dobbiamo comprenderla
così come il Signore ce l’ha comunicata e come gli apostoli e gli evangelisti l’hanno
voluta portare fino a noi. D. - Come presule italiano, cosa
l’ha colpita degli interventi dei presuli degli altri Paesi? R.
- Abbiamo degli elementi comuni che permettono di verificare come veramente la Chiesa
sia una in tutto quanto il mondo. Questa unità, che è data anzitutto dalla stessa
esperienza di fede, dalla stessa Parola di Dio che tutti noi condividiamo, è data
anche dal sentirci qui insieme con il Papa in un atto del tutto particolare. Il Papa
è il Successore di Pietro, è il segno visibile dell’unità di tutti i credenti. Questa
è certamente la prima dimensione che emerge.