Convegno dell'AIPAS sulla pastorale sanitaria a Collevalenza
In che modo oggi gli operatori della pastorale sanitaria possono inserirsi nelle strutture
che offrono assistenza? Come offrire ai pazienti sostegno, aiuto e solidarietà? Se
ne è parlato nei giorno scorsi a Collevalenza, in Umbria, al convegno nazionale dell’AIPAS,
l’Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria, che ha radunato oltre 300 operatori
invitandoli a riflettere sul tema: “Per giustizia e per amore. La cura pastorale tra
diritto e carità”. Ma come è organizzata attualmente la pastorale sanitaria? Tiziana
Campisi lo ha chiesto a padre Marco Fabello, religioso dei Fatebenefratelli
e presidente dell’AIPAS:
R. – La Pastorale
sanitaria oggi non ha un’organizzazione generalizzata in tutto il sistema Italia.
Ci sono iniziative molto diversificate tra una realtà e un’altra, tra una regione
e un’altra, tra una diocesi ed un’altra. Il tentativo che cerchiamo di portare avanti
è quello di vedere se si possa istituire nelle singole realtà, soprattutto ospedaliere,
quella che oggi definiamo la cappellania ospedaliera, cioè la presenza in un contesto
di pastorale sanitaria di operatori di diversa estrazione: dal cappellano alla suora,
al laico impegnati e così via. Quindi, l’azione di più persone che abbiano diverse
esperienze che possano intervenire in diverse situazioni. Perché sappiamo che un conto
è fare pastorale con i malati psichiatrici, un conto è fare pastorale con i bambini
e un conto è fare pastorale ad esempio in oncologia.
D.
– Quali principi ispirano la pastorale sanitaria?
R.
– Credo che il servizio, la disponibilità, la solidarietà e l’evangelizzazione siano
alla base della pastorale della salute, perchè non possiamo prescindere dal Vangelo,
che è la nostra carta di identità per definizione.
D.
– La pastorale sanitaria è volta in particolare ad offrire assistenza, conforto anche
ai malati. Come si muovono in tal senso le istituzioni religiose?
R.
– Non sempre le istituzioni religiose danno a questo settore un significato molto
importante. Ci troviamo di fronte anche a dover fare un "mea culpa". Sarebbe necessario
che le istituzioni religiose riassumessero un po’ la loro responsabilità per essere
le portabandiera di quella che dovrebbe essere la pastorale della salute nell’ambito
sanitario.
D. – L’opera delle istituzioni religiose
che offrono assistenza è legata anche a quella dell’intera organizzazione delle strutture
ospedaliere e sanitarie. Ma quanto è cambiata in questi ultimi anni l’assistenza sanitaria
in Italia, in particolare?
R. – Diciamo pure che
è stata stravolta. Questo stravolgimento però ha trovato di pari passo la pastorale
sanitaria pronta a recepire il cambiamento. E allora è necessario che se anche non
si condivide tutto ciò che è avvenuto, perché non tutto è condivisibile, bisogna però
che la pastorale prenda atto di quello che è accaduto e si adegui per poter rispondere
a nuove esigenze. Se oggi il malato sta in ospedale tre giorni, la pastorale della
salute deve sapere che in quei tre giorni deve avere la capacità di avvicinare la
persona e di metterla in condizione anche di riflettere.
D.
– Di quali attenzioni in particolare hanno bisogno i pazienti?
R.
– L’attenzione prima di tutto va all’ascolto. Questo vale per la pastorale, vale per
il medico, vale per l’infermiere, perché senza ascolto non c’è conoscenza, non c’è
relazione. Se non si ascolta, l’operatore si mette sempre da una parte di potere,anziché di servizio.