Almeno 18 persone sono state uccise e altre 60 sono rimaste ferite in una serie di
attentati che hanno colpito ieri diverse zone dell’Iraq, dalla capitale Baghdad a
Kirkuk, Falluja e Mossul. Proprio da quest’ultima città, nel nord del Paese, decine
di famiglie di cristiani sono fuggite, a seguito di minacce e dopo che negli ultimi
giorni almeno 10 componenti della comunità cristiana locale sono stati assassinati.
Sulla situazione dei cristiani oggi in Iraq, ascoltiamo don Renato Sacco, membro di
Pax Christi, movimento da anni impegnato nel Paese del Golfo: R.
– La situazione di oggi direi che è il peggioramento di quella di ieri: è da mesi,
direi da qualche anno, che la comunità cristiana vive una fatica, una tribolazione,
l’uccisione, qualcuno usa la parola “persecuzione”. I profughi sono tantissimi, e
in alcune zone, come a Mosul, è notizia di questi giorni, i cristiani vengono presi
di mira personalmente e prelevati dalle loro abitazioni e uccisi. Sono il segno –
come era già successo a mons. Rahho, il vescovo di Mosul, lo scorso marzo - di una
situazione tragica dove loro si sentono anche un po’ dimenticati dalla comunità internazionale.
Oggi ci sono diverse voci dall’Iraq che ci chiedono: “Non lasciateci soli”, come mons.
Sako, arcivescovo di Kirkuk, o mons. Warduni, l’ausiliare del Patriarca a Baghdad.
Proprio in questi giorni hanno lanciato appelli al dialogo, ricordandoci che siamo
figli dello stesso Padre e che le religioni sono religioni per la pace, che Dio è
per la pace non per la violenza: un appello quasi disperato.
D.
– Quali sono i nodi centrali della questione?
R.
– Sono da una parte il crescere di una presenza integralista, dovuta – lo dobbiamo
ricordare – alla guerra che ha aperto le frontiere. Quindi, in Iraq ci sono molti
integralisti che sono arrivati da fuori. Si aprono due nervi scoperti che sono la
reintroduzione dell’articolo 50 nella legge elettorale, che dovrebbe non escludere
– come invece sta succedendo – le minoranze, quindi anche la cristiana, dalla rappresentanza
parlamentare. L’altro nodo, ancora più importante, è quello che viene chiamato la
“Piana di Ninive”: cioè un progetto – vista la situazione – di raggruppare tutti i
cristiani in una zona appunto vicino a Mosul, l’antica Ninive. E questo crea molti
problemi, perché è impensabile che i cristiani si chiudano in un ghetto: sono iracheni,
non sono stranieri e quindi hanno diritto a vivere nel loro Paese liberamente.
D.
– Qual è l’appello di "Pax Christi" per non far calare il silenzio sulla dolorosa
vicenda dei cristiani in Iraq e sulle continue violenze, in genere, nel Paese del
Golfo?
R. – Non dimenticare e lavorare incessantemente
per il dialogo, per il dialogo politico, religioso, culturale perché questa è l’unica
prospettiva. Poi, come "Pax Christi", non escludiamo magari nei prossimi mesi anche
di fare una delegazione, una visita per essere ancora più vicini a quelle comunità.