Ancora violenze in Iraq: sotto attacco la comunità cristiana
Quattro civili iracheni uccisi e altri dodici feriti dall'esplosione di due ordigni
a Mosul, nel nord dell’Iraq, e nella provincia orientale di Diayala. Sempre in territorio
iracheno, nella notte, l’aviazione turca ha bombardato un gruppo di ribelli curdi
del Partito dei Lavoratori del Kurdistan che tentavano di infiltrarsi in Turchia.
Ci sarebbero diverse vittime. Intanto, decine di famiglie di cristiani sono fuggite
dalle loro case di Mosul, nel nord del Paese, a seguito di minacce e di assassinii.
Secondo "Asianews", l’ultima vittima di quello che viene definito un “martirio senza
fine” è Jalal Moussa, 38 anni, cristiano caldeo, ucciso a colpi di pistola davanti
alla sua abitazione. Si susseguono gli appelli. Mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare
di Baghdad, ha esortato “tutti i fratelli musulmani a Mossul, Baghdad e in tutto l’Iraq”
a mettere fine alle violenze. Di ieri l’analoga speranza espressa dall’arcivescovo
di Kirkuk, mons. Louis Sako. Sulla situazione dei cristiani oggi in Iraq, Giada
Aquilino ha intervistato don Renato Sacco, membro di "Pax Christi", movimento
cattolico per la pace, da anni impegnato nel Paese del Golfo:
R. – La situazione
di oggi direi che è il peggioramento di quella di ieri: è da mesi, direi da qualche
anno, che la comunità cristiana vive una fatica, una tribolazione, l’uccisione, qualcuno
usa la parola “persecuzione”. I profughi sono tantissimi, e in alcune zone, come a
Mosul, è notizia di questi giorni, i cristiani vengono presi di mira personalmente
e prelevati dalle loro abitazioni e uccisi. Sono il segno – come era già successo
a mons. Rahho, il vescovo di Mosul, lo scorso marzo - di una situazione tragica dove
loro si sentono anche un po’ dimenticati dalla comunità internazionale. Oggi ci sono
diverse voci dall’Iraq che ci chiedono: “Non lasciateci soli”, come mons. Sako, arcivescovo
di Kirkuk, o mons. Warduni, l’ausiliare del Patriarca a Baghdad. Proprio in questi
giorni hanno lanciato appelli al dialogo, ricordandoci che siamo figli dello stesso
Padre e che le religioni sono religioni per la pace, che Dio è per la pace non per
la violenza: un appello quasi disperato.
D. – Quali sono i nodi centrali
della questione?
R. – Sono da una parte il crescere
di una presenza integralista, dovuta – lo dobbiamo ricordare – alla guerra che ha
aperto le frontiere. Quindi, in Iraq ci sono molti integralisti che sono arrivati
da fuori. Si aprono due nervi scoperti che sono la reintroduzione dell’articolo 50
nella legge elettorale, che dovrebbe non escludere – come invece sta succedendo –
le minoranze, quindi anche la cristiana, dalla rappresentanza parlamentare. L’altro
nodo, ancora più importante, è quello che viene chiamato la “Piana di Ninive”: cioè
un progetto – vista la situazione – di raggruppare tutti i cristiani in una zona appunto
vicino a Mosul, l’antica Ninive. E questo crea molti problemi, perché è impensabile
che i cristiani si chiudano in un ghetto: sono iracheni, non sono stranieri e quindi
hanno diritto a vivere nel loro Paese liberamente.
D.
– Qual è l’appello di "Pax Christi" per non far calare il silenzio sulla dolorosa
vicenda dei cristiani in Iraq e sulle continue violenze, in genere, nel Paese del
Golfo?
R. – Non dimenticare e lavorare incessantemente
per il dialogo, per il dialogo politico, religioso, culturale perché questa è l’unica
prospettiva. Poi, come "Pax Christi", non escludiamo magari nei prossimi mesi anche
di fare una delegazione, una visita per essere ancora più vicini a quelle comunità.
Afghanistan Accordo
raggiunto tra i ministri della Difesa della NATO per l'impegno dell'Alleanza atlantica
nella lotta alla droga in Afghanistan: l'intervento delle forze NATO, secondo quanto
si è appreso, potrà avvenire solo su richiesta afghana e di concerto con le autorità
locali, cui spetta la leadership dell'intervento. Saranno i singoli Paesi della NATO
a decidere se dare il proprio contributo oppure no. E proprio poco prima dell’accordo,
è stato presentato il rapporto preparato dall'intelligence USA sulla situazione in
Afghanistan: offre un quadro allarmante e sottolinea la corruzione dilagante nel governo
di Kabul, l'incremento delle attività degli insorti e l'effetto destabilizzante del
traffico di eroina. Il rapporto arriva mentre da più parti si ammette che la soluzione
della questione afgana non può essere militare, ma deve essere politica.
Israele Un
clima di forte tensione regna stamane nella città di Akko (l'antica San Giovanni d'Acri)
dopo i violenti disordini di ieri e dello scorso mercoledì notte tra arabi ed ebrei,
scoppiati dopo che un arabo israeliano era passato in auto in un quartiere ebraico
durante la festività dello Yom Kippur, durante la quale gli ebrei digiunano e vanno
a piedi. Nella città (50 mila abitanti), a popolazione mista di arabi (un terzo) e
ebrei, la polizia è stata rinforzata da centinaia di agenti. Dozzine di persone delle
due comunità sono state arrestate in relazione alle violenze e agli atti di vandalismo
commessi nel corso dei disordini. La tensione sembra però estendersi anche ad altri
centri, come nei villaggi arabi della Galilea. Esponenti politici arabi e ebrei scaricano
reciprocamente sulla parte avversaria la responsabilità dei disordini.
Pakistan Almeno
15 persone morte e 30 ferite per un attacco suicida in Pakistan di cui non si hanno
ancora dettagli. E’ accaduto dopo che un’autobomba aveva ucciso otto persone a Islamabad,
capitale del Pakistan. Intanto, si è aggravato il bilancio dello scontro tra un autobus
e un camion nei pressi della città di Lodhran. Sono almeno 25 le vittime e una cinquantina
i feriti in maggioranza studenti. Secondo una prima ricostruzione, sembra che il mezzo
fosse sovraccarico e che alcune persone viaggiavano sul tetto.
Ucraina Il
gruppo del premier ucraino Iulia Timoshenko ha bloccato oggi il palco e il presidium
del parlamento prima dell'inizio della seduta chiedendo di discutere alcuni progetti
di legge prima di ogni altra cosa, compreso tutto ciò che è legato alle elezioni anticipate
decise ieri dal presidente Iushenko. Il leader del gruppo parlamentare del partito
filo presidenziale “Ucraina Nostra”, Kirilenko, sostiene, che si tratta di un “tentativo
di evitare le elezioni anticipate”, fissate per il 7 dicembre.
Reazioni
al riconoscimento da Montenegro e Macedonia del Kosovo Critiche pesanti dal
presidente della Serbia, Boris Tadic, e lodi e ringraziamenti dal primo ministro del
Kosovo, Hashim Thaci. Sono prevedibilmente di segno opposto le reazioni odierne dei
vertici di Belgrado e di Pristina alla decisione resa nota ieri da Montenegro e Macedonia,
di riconoscere la contestata secessione del Kosovo, ex provincia a maggioranza albanese,
proclamata il 17 febbraio, dopo la mediazione del neopremio Nobel per la pace Martti
Ahtisaari. Per Tadic - che ha confermato l'inevitabilità di ritorsioni diplomatiche
contro Skopje e Podgorica - il doppio riconoscimento è improvvido e dannoso per il
consolidamento della pace e della stabilità nei Balcani. Per Thaci, al contrario,
esso sarà fattore di stabilizzazione regionale. “La decisione del Montenegro e della
Macedonia di riconoscere l'indipendenza illegalmente proclamata dal Kosovo - scrive
in una nota il presidente serbo, capofila del fronte europeista a Belgrado - è gravemente
sbagliata e non aiuterà la stabilità regionale, nè i rapporti di buon vicinato”.
Pirateria
nelle acque al largo della Somalia e dello Yemen Alcuni pirati hanno sequestrato
al largo del Golfo di Aden, tra Yemen e Somalia, una nave che trasportava cemento
verso l'Oman. Incerte le notizie sul natante che potrebbe essere panamense. Nelle
stesse ore è stata rilasciata una nave mercantile iraniana sequestrata nell'agosto
scorso al largo delle coste somale. Dall'inizio dell'anno una cinquantina di navi
sono state assaltate, proprio per questo ieri la NATO ha deciso l’invio di proprie
imbarcazioni al largo del Corno d'Africa per contrastare i numerosi atti di pirateria
e per scortare le imbarcazioni del World Food Programme dell'ONU che trasportano cibo
e dalle quali dipende la sopravvivenza di oltre il 40% della popolazione. Ma a cosa
è dovuto questo aumento di attacchi e sequestri di navi? Kelsea Brennan-Wessels
lo ha chiesto a mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico
di Mogadiscio:
R. – E' causato
da alcuni fattori: l’aumento della povertà dovuto alla instabilità politica, all’insicurezza,
alla guerra civile, all’aumento dei prezzi, e poi anche all’aumento dell’attività
dei cosiddetti ribelli nei confronti del governo di transizione, che è sostenuto dalle
forze etiopiche. Questi cosiddetti ribelli sembrano essere collegati gli uni con gli
altri e sembrano essere ispirati dall’ideologia islamista. A mio parere l’aumento
drammatico è dovuto anche al fatto che attaccare diverse navi significa incassare
parecchi soldi, che poi possono essere utilizzati per l’acquisto di armi e per gli
scopi che i ribelli si prefiggono. Tuttavia, sono ancora del parere che per il momento
questa attività rappresenti solo una minoranza. Io penso che ancora la maggior parte
di questi attacchi sia opera di piccoli gruppi che però riescono a ricevere delle
buone informazioni attraverso il sistema internazionale, perché ci si chiede come
mai arrivino con sicurezza ad attaccare e a sequestrare una nave.
Thailandia In
Thailandia, sono stati liberati su cauzione i sette manifestanti anti-governativi
che si erano consegnati alla polizia, dopo che la Corte d'Appello poco prima aveva
fatto cadere l’imputazione di altro tradimento. Solo tre giorni fa, le violenti proteste
contro il governo dell’attuale premier avevano provocato 2 morti e centinaia di feriti.
(Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 284 E'
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