Solo la Parola di Dio cambia davvero il cuore dell’uomo: a San Paolo fuori le Mura,
Benedetto XVI apre il Sinodo dei Vescovi sulla Parola ed esorta i cristiani ad annunciare
con gioia e speranza il Vangelo
L’omelia di Benedetto XVI alla Messa di stamani in San Paolo fuori le Mura per l’apertura
della XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “La Parola
di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, che si svolgerà in Vaticano fino
al 26 ottobre: Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari
fratelli e sorelle! La prima Lettura, tratta dal libro del profeta Isaia,
come pure la pagina del Vangelo secondo Matteo, hanno proposto alla nostra assemblea
liturgica una suggestiva immagine allegorica della Sacra Scrittura: l’immagine della
vigna, di cui abbiamo già sentito parlare nelle domeniche precedenti. La pericope
iniziale del racconto evangelico fa riferimento al “cantico della vigna” che troviamo
in Isaia. Si tratta di un canto ambientato nel contesto autunnale della vendemmia:
un piccolo capolavoro della poesia ebraica, che doveva essere assai familiare agli
ascoltatori di Gesù e dal quale, come da altri riferimenti dei profeti (cfr Os
10,1; Ger 2,21; Ez 17,3-0; 19,10-14; Sal 79,9–17), si capiva
bene che la vigna indicava Israele. Alla sua vigna, al popolo che si è scelto, Iddio
riserva le stesse cure che uno sposo fedele prodiga alla sua sposa (cfr Ez
16,1-14; Ef 5,25-33).
L’immagine della vigna, insieme a quella delle
nozze, descrive dunque il progetto divino della salvezza, e si pone come una commovente
allegoria dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Nel Vangelo, Gesù riprende il cantico
di Isaia, ma lo adatta ai suoi ascoltatori. L’accento non è tanto sulla vigna quanto
piuttosto sui vignaioli, ai quali i “servi” del padrone chiedono, a suo nome, il canone
di affitto. I servi però vengono maltrattati e persino uccisi. Come non pensare alle
vicende del popolo eletto e alla sorte riservata ai profeti inviati da Dio? Alla fine,
il proprietario della vigna compie l’ultimo tentativo: manda il proprio figlio, convinto
che ascolteranno almeno lui. Accade invece il contrario: i vignaioli lo uccidono proprio
perché è il figlio, cioè l’erede, convinti di potersi così impossessare facilmente
della vigna. Assistiamo pertanto ad un salto di qualità rispetto all’accusa di violazione
della giustizia sociale, quale emerge dal cantico di Isaia. Qui vediamo chiaramente
come il disprezzo per l’ordine impartito dal padrone si trasformi in disprezzo verso
di lui: non è la semplice disubbidienza ad un precetto divino, è il vero e proprio
rigetto di Dio. Quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo
di pensare e di agire; interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l’annuncio
del Vangelo. Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza
e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo
mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. E’
spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono
comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate
solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca?
Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità,
sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna. Vi è chi,
avendo deciso che “Dio è morto”, dichiara “dio” se stesso, ritenendosi l’unico artefice
del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo. Sbarazzandosi di Dio e non
attendendo da Lui la salvezza, l’uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi
porre come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l’uomo elimina
Dio dal proprio orizzonte è veramente più felice? Diventa veramente più libero? Quando
gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato,
possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la
pace? Non avviene piuttosto - come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente – che
si estendano l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento,
la violenza in ogni sua espressione? Il punto d’arrivo, alla fine, è che l’uomo si
ritrova più solo e la società più divisa e confusa.
Nelle parole di Gesù vi
è una promessa: la vigna non sarà distrutta. Mentre abbandona al loro destino i vignaioli
infedeli, il padrone non si distacca dalla sua vigna e l’affida ad altri suoi servi
fedeli. Questo indica che, se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi,
vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla. Proprio per questo Gesù, mentre
cita il Salmo 117 [118]: “La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata
d’angolo” (v. 22), assicura che la sua morte non sarà la sconfitta di Dio. Ucciso,
Egli non resterà nella tomba, anzi, proprio quella che sembrerà essere una totale
disfatta, segnerà l’inizio di una definitiva vittoria. Alla sua dolorosa passione
e morte in croce seguirà la gloria della risurrezione. La vigna continuerà allora
a produrre uva e sarà data in affitto dal padrone “ad altri contadini, che gli consegneranno
i frutti a suo tempo” (Mt 21,41).
L’immagine della vigna, con le sue
implicazioni morali e spirituali, ritornerà nel discorso dell’Ultima Cena, quando,
congedandosi dagli Apostoli, il Signore dirà: “Io sono la vite vera e il Padre mio
è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio
che porta frutto lo pota, perché porti più frutto” (Gv 15,1-2). A partire dall’evento
pasquale la storia della salvezza conoscerà dunque una svolta decisiva, e ne saranno
protagonisti quegli “altri contadini” che, innestati come scelti germogli in Cristo,
vera vite, porteranno frutti abbondanti di vita eterna (cfr Orazionecolletta).
Il consolante messaggio che raccogliamo da questi testi biblici è la certezza
che il male e la morte non hanno l’ultima parola, ma a vincere alla fine è Cristo.
Sempre! La Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche
quest’oggi, in questa Basilica dedicata all’Apostolo delle genti, che per primo diffuse
il Vangelo in vaste regioni dell’Asia minore e dell’Europa. Rinnoveremo in modo significativo
questo annuncio durante tutta la XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi,
che ha come tema: “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”.
Vorrei qui salutare con affetto cordiale tutti voi, venerati Padri sinodali, e quanti
prendete parte a questo incontro come esperti, uditori e invitati speciali. Sono lieto
inoltre di accogliere i Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità ecclesiali.
Al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ed ai suoi collaboratori va l’espressione
della riconoscenza di tutti noi per l’impegnativo lavoro svolto in questi mesi, insieme
con un augurio per le fatiche che li attendono nelle prossime settimane.
Quando
Dio parla, sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l’umana
cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari
fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna: “Aspettò
che producesse uva, produsse, invece, acini acerbi” (cfr Is 5,2). Solo la Parola
di Dio può cambiare in profondità il cuore dell’uomo, ed è importante allora che con
essa entrino in una intimità sempre crescente i singoli credenti e le comunità. L’Assemblea
sinodale volgerà la sua attenzione a questa verità fondamentale per la vita e la missione
della Chiesa. Nutrirsi della Parola di Dio è per essa il compito primo e fondamentale.
In effetti, se l’annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d’essere e la sua
missione, è indispensabile che la Chiesa conosca e viva ciò che annuncia, perché la
sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le povertà degli uomini
che la compongono. Sappiamo, inoltre, che l’annuncio della Parola, alla scuola di
Cristo, ha come suo contenuto il Regno di Dio (cfr Mc 1,14-15), ma il Regno
di Dio è la stessa persona di Gesù, che con le sue parole e le sue opere offre la
salvezza agli uomini di ogni epoca. Interessante è al riguardo la considerazione di
san Girolamo: “Colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio né
la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo” (Prologo al commento
del profeta Isaia: PL 24,17).
In questo Anno Paolino sentiremo
risuonare con particolare urgenza il grido dell’Apostolo delle genti: “Guai a me se
non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16); grido che per ogni cristiano diventa
invito insistente a porsi al servizio di Cristo. “La messe è molta” (Mt 9,37),
ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non Lo hanno ancora incontrato e sono in
attesa del primo annuncio del suo Vangelo; altri, pur avendo ricevuto una formazione
cristiana, si sono affievoliti nell’entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un
contatto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e
necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi persone di retto sentire
che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle
quali solo Cristo può fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per
i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione
della speranza che è in loro (cfr 1 Pt 3,15), annunciando con gioia la Parola
di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo.
Venerati e cari Fratelli, ci
aiuti il Signore ad interrogarci insieme, durante le prossime settimane di lavori
sinodali, su come rendere sempre più efficace l’annuncio del Vangelo in questo nostro
tempo. Avvertiamo tutti quanto sia necessario porre al centro della nostra vita la
Parola di Dio, accogliere Cristo come unico nostro Redentore, per far sì che la sua
luce illumini ogni ambito dell’umanità: dalla famiglia alla scuola, alla cultura,
al lavoro, al tempo libero e agli altri settori della società. Partecipando alla Celebrazione
eucaristica, avvertiamo sempre lo stretto legame che esiste tra l’annuncio della Parola
di Dio e il Sacrificio eucaristico: è lo stesso Mistero che viene offerto alla nostra
contemplazione. Ecco perché “la Chiesa - come pone in luce il Concilio Vaticano II
- ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore,
non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla
mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli”. Giustamente
il Concilio conclude: “Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce
la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso di vita spirituale dall’accresciuta
venerazione della Parola di Dio, che «permane in eterno»” (Dei Verbum, 21.26).
Ci
conceda il Signore di accostarci con fede alla duplice mensa della Parola e del Corpo
e Sangue di Cristo. Ci ottenga questo dono Maria Santissima, che “serbava tutte queste
cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Sia Lei ad insegnarci ad ascoltare
le Scritture e a meditarle in un processo interiore di maturazione, che mai separi
l’intelligenza dal cuore. Vengano in nostro aiuto anche i Santi, in particolare l’Apostolo
Paolo, che durante quest’anno andiamo sempre più scoprendo come intrepido testimone
e araldo della Parola di Dio. Amen! (Fine)