La piaga dei bambini soldato nella regione congolese del nord Kivu
Il fenomeno dei bambini soldato, più volte denunciato dalle organizzazioni umanitarie,
continua ad essere particolarmente grave nella regione del Nord Kivu, nella Repubblica
Democratica del Congo. Lo evidenzia un rapporto di “Amnesty International”, secondo
il quale ogni due minori liberati dalla guerra, almeno altri cinque vengono rapiti
e arruolati. Spesso si tratta degli stessi bambini riusciti a fuggire dai conflitti,
che in quella zona continuano ad imperversare tra ribelli, soldati governativi e di
altri Paesi della zona dei Grandi Laghi. Sui motivi di questa piaga, Giancarlo
La Vella ha raccolto la riflessione di Michele Luppi, editorialista della
rivista dei comboniani “Nigrizia”, appena rientrato dal regione del Kivu:
R. - Oggi
c’è un problema più generale dell’infanzia nel Kivu con un’istruzione che fatica a
partire, con scuole che sono chiuse o non ci sono. Quindi è un problema di questi
bambini che sono lasciati a vivere per strada, costretti a cercare comunque di guadagnarsi
da vivere, di guadagnare da vivere per le proprie famiglie. Ovviamente, questo li
rende prede facili - soprattutto nelle zone collinari del Nord Kivu - di quelli che
sono i vari gruppi ribelli. Quindi, questo insieme di gruppi ribelli utilizza proprio
i bambini, i ragazzi di 13-14 anni, come soldati. D. – Il riarruolamento
è la conseguenza inevitabile di una disastrosa situazione economica? R.
– Diciamo che è la conseguenza di una guerra che sembra non finire. Con la conferenza
di Goma, del gennaio scorso, sembrava essersi avviato un cammino che potesse portare
i gruppi ribelli al disarmo e al reintegro nell’esercito. Da gennaio in poi, comunque,
scaramucce e scontri si sono avuti sempre ma a partire dall’agosto, noi dobbiamo parlare
oggi di guerra. Non possiamo più parlare di piccoli scontri, perché quella in corso
nel Kivu è una guerra a tutti gli effetti che purtroppo va al di là del Kivu. E’ una
guerra in cui sono coinvolti i Paesi della regione e questo significa che se si vuole
arrivare alla pace nel Nord Kivu, devono essere il governo di Kinshasa, ma anche il
governo di Kigali a lavorare insieme per la pace. D. – Come
mai non sono mai andati in porto i programmi internazionali e locali per il recupero
dell’infanzia che è stata sfruttata nelle guerre? R. – Il problema
di fondo è, secondo me, che bisogna dare un’alternativa a tutta l’infanzia del Kivu.
Non basta riuscire a recuperare un bambino togliendolo dai propri aguzzini, togliendolo
da chi gli dà le armi. Bisogna anche dare a questi bambini l’opportunità di studiare,
l’opportunità di guardare al proprio futuro. Oggi, purtroppo, è difficile, per un
bambino di quella parte del Congo, poter guardare al futuro con serenità. Ci sono
difficoltà nell’istruzione, nell’avere un lavoro. Le difficoltà economiche che ancora
il Paese ha, rappresentano un freno e “spingono” questi bambini nelle braccia di chi
li arma.