Gli osservatori UE pronti a monitorare il previsto ritiro russo dalla Georgia
Sono entrati stamani nella zona-cuscinetto che circonda il confine con l'Ossezia del
sud i primi osservatori dell'Unione Europea incaricati di monitorare il ritiro entro
il 10 ottobre dei soldati russi dalla Georgia. Al momento, però, sono ancora presenti
dei posti di blocco militari di Mosca. In base agli accordi sottoscritti nelle scorse
settimane dal presidente russo, Medvedev, e dall’omologo francese e presidente di
turno dell’UE, Sarkozy, la missione di 200 osservatori civili - provenienti da 22
Paesi UE - dovrà accertare il ritorno delle forze del Cremlino alle postazioni occupate
prima del conflitto di agosto. Sulle competenze della missione europea in Georgia,
Giada Aquilino ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia
Cristiana:
R. - Credo
che la missione europea in Georgia possa operare in tante materie, alcune più approfondite
e altre meno approfondite. Quasi tutto dipende, in realtà, dalla buona volontà delle
parti in causa e quindi georgiani e russi, attraverso gli osseti. Io credo anche che
almeno nel breve e medio periodo la questione sia risolta. Non è certamente risolta
in assoluto, nel senso che la Georgia ha tentato il suo colpo: la Russia ha risposto
molto duramente e ha dimostrato al mondo di essere pronta ad impegnarsi anche militarmente
ai proprio confini. Quello che doveva essere mostrato è stato mostrato e nel breve
e medio periodo sostanzialmente non succederà nulla di rilevante. D.
- Entro il 10 ottobre dovrà essere completato il ritiro delle forze russe dalla Georgia:
sul terreno rimarrà una qualche forma di presenza di Mosca?
R. - Credo
che Mosca abbia già fatto tutti i passi necessari per garantirsi una presenza, perché
di fatto l’integrità territoriale della Georgia - della quale tanto hanno parlato
gli Stati Uniti e anche l’Europa - di fatto non esiste più: se l’Ossezia del sud è
anche sotto l’ombrello militare di Mosca, se sono eliminate le frontiere e se moltissimi
osseti hanno passaporto russo, mi pare che la realtà dei fatti sia quella che è, tanto
più che anche l’Abkhazia è di fatto staccata ormai da Tbilisi. Iraq Continua
a calare la violenza in Iraq, secondo quanto affermano fonti governative: nel mese
di settembre, i civili uccisi in attentati terroristici e attacchi interconfessionali
sono stati 359. Ad agosto, erano stati 382. Ad essi vanno però aggiunti 26 soldati
e 55 agenti di polizia morti in servizio, e circa 900 civili feriti in varie zone
del Paese, secondo i dati diffusi dai Ministeri di interni, difesa e sanità. Allo
stesso tempo è però aumentato il numero delle vittime tra i soldati americani. Secondo
un conteggio del sito web indipendente icasulties.org, ad agosto sono morti in 23,
a settembre 25. Dall'inizio dell'invasione, nel marzo 2003, i militari USA morti sono
in tutto 4.176. Non esistono cifre altrettanto precise sul numero delle vittime tra
i civili dal marzo 2003, ma secondo il sito web Iraq Body Count, che viene costantemente
aggiornato incrociando i dati di varie fonti, dovrebbero essere circa tra gli 88 mila
e i 96 mila.
Pakistan È salito ad almeno otto persone uccise - tutti
combattenti islamici, secondo i servizi di sicurezza di Islamabad - il bilancio dell'attacco
con razzi compiuto nella tarda serata di ieri da un drone USA nel distretto tribale
del Waziristan del nord, nel Pakistan nordoccidentale, al confine con l'Afghanistan.
Poco prima che ieri partisse il razzo che ha colpito un'abitazione, uccidendo gli
otto mujaheddin, secondo fonti della sicurezza di Islamabad, combattenti armati avevano
fatto fuoco su tre droni. Quest'ultimo attacco interviene nel pieno di una crisi nei
rapporti fra il Pakistan e gli Stati Uniti, alleati nella guerra al terrorismo, dovuta
proprio al cambio di strategia USA in Afghanistan, che prevede negli ultimi mesi attacchi
missilistici e anche vere e proprie incursioni armate entro i confini pakistani, nelle
aree tribali di nord e sud Waziristan. Queste ultime sono considerate roccaforte dei
Taleban e di al Qaeda e base per le loro incursioni in territorio afghano.
Egitto Hanno
percorso circa 300 chilometri nel deserto, nell'unica jeep che i rapitori avevano
lasciato loro, i 19 ostaggi (5 italiani, 5 tedeschi, una romena e otto loro accompagnatori
egiziani) sequestrati nel deserto egiziano il 19 settembre scorso e rilasciati ieri,
dopo 10 giorni. È la testimonianza di uno degli ostaggi egiziani, la guida del deserto,
Abdel Rehim Ragab Said, pubblicata dal quotidiano panarabo Al Sharq Al Awsat, secondo
il quale è stato domenica sera, verso le 20, che si è decisa la loro sorte. A quell'ora,
i rapitori hanno detto agli ostaggi di prepararsi a partire. Dopo aver preso le altre
tre auto della carovana, consegnato agli ostaggi un po' di cibo e di acqua, i sequestratori
sono andati via, lasciandoli soli nel deserto. È cominciata allora l'ultima fase dell'avventura
dei 19, che hanno viaggiato ininterrottamente per 250 chilometri, fino alle 3 del
mattino. Dopo una sosta, hanno percorso altri 50 chilometri, quando hanno avvistato
due uomini armati. Si sono avvicinati timorosi, temendo si trattasse di altri banditi,
ma poi hanno capito che era un accampamento dell'esercito egiziano e lì è finita la
paura.
Kosovo Ha suscitato proteste da parte della leadership di
Pristina, ma anche da parte delle opposizioni interne serbe, l'ipotesi evocata ieri
dal presidente della Serbia, Boris Tadic, di una possibile partizione del Kosovo quale
estrema via d'uscita alla crisi innescata il 17 febbraio dalla secessione della provincia
a maggioranza albanese, ritenuta illegale e nulla da Belgrado. Per il presidente kosovaro,
Fatmir Sejdiu, le parole di Tadic “sono inaccettabili”. Secondo Sejdiu, il Kosovo
- accettato finora da meno di 50 degli oltre 190 membri dell'ONU, ma dal grosso del
Paesi occidentali - “è ormai uno Stato internazionalmente riconosciuto. E il resto
è pura futilità”. Sul fronte opposto, critiche a Tadic sono venute anche da Dragan
Todorovic, nuovo leader del Partito Radicale Serbo (SRS, opposizione ultranazionalista),
il quale ha insistito sul fatto che Belgrado deve al contrario continuare a rivendicare
la sovranità sull'intero Kosovo. “Si tratta di un'idea - ha tuonato Todorovic - che
cela in realtà le vere intenzioni di Tadic: arrendersi all'indipendenza di Pristina
e venire a patti con l'America e la NATO”.
Crescita economica più bassa
del previsto nell’eurozona La crescita nella zona euro sarà più debole del
previsto nel 2009 e si situerà "attorno all’1%". Lo ha dichiarato il presidente delll'Eurogruppo
Jean-Claude Juncker, convinto che “le previsioni di crescita per il 2009 debbano essere
corrette verso il basso”. Nelle sue ultime previsioni di crescita pubblicate ad aprile,
la Commissione europea puntava su una crescita del PIL nella zona euro dell'1,5%.
La crescita mondiale, ha dichiarato Juncker a una radio francese, “non è in panne”
ma è “frenata nel suo slancio” e la crescita dei grandi Paesi della zona euro, come
Italia, Francia, Germania, è nettamente rallentata.
Nucleare Il negoziatore
capo statunitense sul dossier nucleare nordcoreano, Christopher Hill, è arrivato a
Pyongyang per tentare di salvare i negoziati a sei sulla denuclearizzazione della
Corea del Nord. Invitato dal regime comunista di Pyongyang, Hill, secondo fonti diplomatiche
USA, ha passato la frontiera fra Sud e Nord Corea al villaggio di Panmunjom, nella
zona smilitarizzata. I negoziati a sei (Giappone, Stati Uniti, le due Coree, Cina
e Russia) sono a un punto morto. La Corea del Nord, che nel 2006 ha compiuto il suo
primo test nucleare, ha accettato lo scorso anno, nell'ambito di negoziati iniziati
nel 2003, di abbandonare il suo programma nucleare in cambio di aiuti energetici internazionali
e di garanzie diplomatiche e sul fronte della sicurezza. Gli USA hanno preteso però
che Pyongyang accettasse un complesso meccanismo di verifica, con ispezioni a sorpresa
sui siti nucleari, che il regime nordcoreano ha rifiutato, espellendo lo scorso 24
settembre gli osservatori dell'Agenzia internazionale sull’energia atomica (AIEA)
dal sito nucleare di Yongbyon e accusando Washington di non mantenere i patti. Il
governo comunista di Pyongyang ha inoltre dichiarato di voler rilanciare il proprio
programma di installazioni nucleari.
Canada A un paio di settimane
dalle elezioni in Canada, il primo ministro, Stephen Harper, è stato accusato di plagio.
L'esponente liberale, Bob Rae, ha reso pubblico un video che mostra come Harper, non
ancora premier, avrebbe copiato parti del suo discorso del 20 marzo 2003 sull'urgenza
di inviare truppe canadesi in Iraq da un discorso del collega australiano, John Howard.
Il Canada, sostiene Rae, sotto il governo conservatore ha così “perso la propria voce
nella politica estera” copiando quella dell'Australia. Harper pronunciò il discorso
alla Camera del Comuni due giorni dopo quello analogo del primo ministro australiano
e intere parti, secondo la trascrizione ufficiale dei due discorsi, risultano identiche.
L'episodio ricorda quello del settembre 1987, quando l'attuale candidato democratico
alla vicepresidenza degli Stati Uniti, Joe Biden, fu accusato di aver plagiato un
discorso dell'allora leader del partito laburista britannico, Neil Kinnock. (Panoramica
internazionale a cura di Fausta Speranza) Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LII no. 275 E' possibile ricevere
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