2008-10-01 15:14:41

Gli osservatori UE pronti a monitorare il previsto ritiro russo dalla Georgia


Sono entrati stamani nella zona-cuscinetto che circonda il confine con l'Ossezia del sud i primi osservatori dell'Unione Europea incaricati di monitorare il ritiro entro il 10 ottobre dei soldati russi dalla Georgia. Al momento, però, sono ancora presenti dei posti di blocco militari di Mosca. In base agli accordi sottoscritti nelle scorse settimane dal presidente russo, Medvedev, e dall’omologo francese e presidente di turno dell’UE, Sarkozy, la missione di 200 osservatori civili - provenienti da 22 Paesi UE - dovrà accertare il ritorno delle forze del Cremlino alle postazioni occupate prima del conflitto di agosto. Sulle competenze della missione europea in Georgia, Giada Aquilino ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:RealAudioMP3

R. - Credo che la missione europea in Georgia possa operare in tante materie, alcune più approfondite e altre meno approfondite. Quasi tutto dipende, in realtà, dalla buona volontà delle parti in causa e quindi georgiani e russi, attraverso gli osseti. Io credo anche che almeno nel breve e medio periodo la questione sia risolta. Non è certamente risolta in assoluto, nel senso che la Georgia ha tentato il suo colpo: la Russia ha risposto molto duramente e ha dimostrato al mondo di essere pronta ad impegnarsi anche militarmente ai proprio confini. Quello che doveva essere mostrato è stato mostrato e nel breve e medio periodo sostanzialmente non succederà nulla di rilevante.
 
D. - Entro il 10 ottobre dovrà essere completato il ritiro delle forze russe dalla Georgia: sul terreno rimarrà una qualche forma di presenza di Mosca?

R. - Credo che Mosca abbia già fatto tutti i passi necessari per garantirsi una presenza, perché di fatto l’integrità territoriale della Georgia - della quale tanto hanno parlato gli Stati Uniti e anche l’Europa - di fatto non esiste più: se l’Ossezia del sud è anche sotto l’ombrello militare di Mosca, se sono eliminate le frontiere e se moltissimi osseti hanno passaporto russo, mi pare che la realtà dei fatti sia quella che è, tanto più che anche l’Abkhazia è di fatto staccata ormai da Tbilisi.
 
Iraq
Continua a calare la violenza in Iraq, secondo quanto affermano fonti governative: nel mese di settembre, i civili uccisi in attentati terroristici e attacchi interconfessionali sono stati 359. Ad agosto, erano stati 382. Ad essi vanno però aggiunti 26 soldati e 55 agenti di polizia morti in servizio, e circa 900 civili feriti in varie zone del Paese, secondo i dati diffusi dai Ministeri di interni, difesa e sanità. Allo stesso tempo è però aumentato il numero delle vittime tra i soldati americani. Secondo un conteggio del sito web indipendente icasulties.org, ad agosto sono morti in 23, a settembre 25. Dall'inizio dell'invasione, nel marzo 2003, i militari USA morti sono in tutto 4.176. Non esistono cifre altrettanto precise sul numero delle vittime tra i civili dal marzo 2003, ma secondo il sito web Iraq Body Count, che viene costantemente aggiornato incrociando i dati di varie fonti, dovrebbero essere circa tra gli 88 mila e i 96 mila.

Pakistan
È salito ad almeno otto persone uccise - tutti combattenti islamici, secondo i servizi di sicurezza di Islamabad - il bilancio dell'attacco con razzi compiuto nella tarda serata di ieri da un drone USA nel distretto tribale del Waziristan del nord, nel Pakistan nordoccidentale, al confine con l'Afghanistan. Poco prima che ieri partisse il razzo che ha colpito un'abitazione, uccidendo gli otto mujaheddin, secondo fonti della sicurezza di Islamabad, combattenti armati avevano fatto fuoco su tre droni. Quest'ultimo attacco interviene nel pieno di una crisi nei rapporti fra il Pakistan e gli Stati Uniti, alleati nella guerra al terrorismo, dovuta proprio al cambio di strategia USA in Afghanistan, che prevede negli ultimi mesi attacchi missilistici e anche vere e proprie incursioni armate entro i confini pakistani, nelle aree tribali di nord e sud Waziristan. Queste ultime sono considerate roccaforte dei Taleban e di al Qaeda e base per le loro incursioni in territorio afghano.

Egitto
Hanno percorso circa 300 chilometri nel deserto, nell'unica jeep che i rapitori avevano lasciato loro, i 19 ostaggi (5 italiani, 5 tedeschi, una romena e otto loro accompagnatori egiziani) sequestrati nel deserto egiziano il 19 settembre scorso e rilasciati ieri, dopo 10 giorni. È la testimonianza di uno degli ostaggi egiziani, la guida del deserto, Abdel Rehim Ragab Said, pubblicata dal quotidiano panarabo Al Sharq Al Awsat, secondo il quale è stato domenica sera, verso le 20, che si è decisa la loro sorte. A quell'ora, i rapitori hanno detto agli ostaggi di prepararsi a partire. Dopo aver preso le altre tre auto della carovana, consegnato agli ostaggi un po' di cibo e di acqua, i sequestratori sono andati via, lasciandoli soli nel deserto. È cominciata allora l'ultima fase dell'avventura dei 19, che hanno viaggiato ininterrottamente per 250 chilometri, fino alle 3 del mattino. Dopo una sosta, hanno percorso altri 50 chilometri, quando hanno avvistato due uomini armati. Si sono avvicinati timorosi, temendo si trattasse di altri banditi, ma poi hanno capito che era un accampamento dell'esercito egiziano e lì è finita la paura.

Kosovo
Ha suscitato proteste da parte della leadership di Pristina, ma anche da parte delle opposizioni interne serbe, l'ipotesi evocata ieri dal presidente della Serbia, Boris Tadic, di una possibile partizione del Kosovo quale estrema via d'uscita alla crisi innescata il 17 febbraio dalla secessione della provincia a maggioranza albanese, ritenuta illegale e nulla da Belgrado. Per il presidente kosovaro, Fatmir Sejdiu, le parole di Tadic “sono inaccettabili”. Secondo Sejdiu, il Kosovo - accettato finora da meno di 50 degli oltre 190 membri dell'ONU, ma dal grosso del Paesi occidentali - “è ormai uno Stato internazionalmente riconosciuto. E il resto è pura futilità”. Sul fronte opposto, critiche a Tadic sono venute anche da Dragan Todorovic, nuovo leader del Partito Radicale Serbo (SRS, opposizione ultranazionalista), il quale ha insistito sul fatto che Belgrado deve al contrario continuare a rivendicare la sovranità sull'intero Kosovo. “Si tratta di un'idea - ha tuonato Todorovic - che cela in realtà le vere intenzioni di Tadic: arrendersi all'indipendenza di Pristina e venire a patti con l'America e la NATO”.

Crescita economica più bassa del previsto nell’eurozona
La crescita nella zona euro sarà più debole del previsto nel 2009 e si situerà "attorno all’1%". Lo ha dichiarato il presidente delll'Eurogruppo Jean-Claude Juncker, convinto che “le previsioni di crescita per il 2009 debbano essere corrette verso il basso”. Nelle sue ultime previsioni di crescita pubblicate ad aprile, la Commissione europea puntava su una crescita del PIL nella zona euro dell'1,5%. La crescita mondiale, ha dichiarato Juncker a una radio francese, “non è in panne” ma è “frenata nel suo slancio” e la crescita dei grandi Paesi della zona euro, come Italia, Francia, Germania, è nettamente rallentata.

Nucleare
Il negoziatore capo statunitense sul dossier nucleare nordcoreano, Christopher Hill, è arrivato a Pyongyang per tentare di salvare i negoziati a sei sulla denuclearizzazione della Corea del Nord. Invitato dal regime comunista di Pyongyang, Hill, secondo fonti diplomatiche USA, ha passato la frontiera fra Sud e Nord Corea al villaggio di Panmunjom, nella zona smilitarizzata. I negoziati a sei (Giappone, Stati Uniti, le due Coree, Cina e Russia) sono a un punto morto. La Corea del Nord, che nel 2006 ha compiuto il suo primo test nucleare, ha accettato lo scorso anno, nell'ambito di negoziati iniziati nel 2003, di abbandonare il suo programma nucleare in cambio di aiuti energetici internazionali e di garanzie diplomatiche e sul fronte della sicurezza. Gli USA hanno preteso però che Pyongyang accettasse un complesso meccanismo di verifica, con ispezioni a sorpresa sui siti nucleari, che il regime nordcoreano ha rifiutato, espellendo lo scorso 24 settembre gli osservatori dell'Agenzia internazionale sull’energia atomica (AIEA) dal sito nucleare di Yongbyon e accusando Washington di non mantenere i patti. Il governo comunista di Pyongyang ha inoltre dichiarato di voler rilanciare il proprio programma di installazioni nucleari.

Canada
A un paio di settimane dalle elezioni in Canada, il primo ministro, Stephen Harper, è stato accusato di plagio. L'esponente liberale, Bob Rae, ha reso pubblico un video che mostra come Harper, non ancora premier, avrebbe copiato parti del suo discorso del 20 marzo 2003 sull'urgenza di inviare truppe canadesi in Iraq da un discorso del collega australiano, John Howard. Il Canada, sostiene Rae, sotto il governo conservatore ha così “perso la propria voce nella politica estera” copiando quella dell'Australia. Harper pronunciò il discorso alla Camera del Comuni due giorni dopo quello analogo del primo ministro australiano e intere parti, secondo la trascrizione ufficiale dei due discorsi, risultano identiche. L'episodio ricorda quello del settembre 1987, quando l'attuale candidato democratico alla vicepresidenza degli Stati Uniti, Joe Biden, fu accusato di aver plagiato un discorso dell'allora leader del partito laburista britannico, Neil Kinnock. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
 Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 275
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