2008-09-29 15:59:48

Il Myanmar ad un anno dalle repressioni della giunta militare: intervista con Paolo Pobbiati di Amnesty International


In Myanmar iniziava un anno fa la dura repressione della giunta al potere nei confronti di monaci buddisti, attivisti e comuni cittadini per le manifestazioni in favore dei diritti umani. Nella capitale Yangon si è tenuta, ieri, una marcia di protesta pacifica di circa 100 monaci. Il segretario dell’ONU, Ban Ki-moon, è tornato a chiedere la libertà per il premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, leader del partito d’opposizione la “Lega nazionale per la democrazia”, agli arresti domiciliari da oltre 10 anni. Intanto, nei giorni scorsi, sono stati rilasciati dal regime “per buona condotta” oltre 9 mila prigionieri, tra i quali 7 detenuti per reati politici. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty International Italia.RealAudioMP3
R. – Una buona notizia ma si deve sottolineare che questi sette prigionieri d’opinione appartenenti alla Lega nazionale per la democrazia, inseriti nel gruppo dei detenuti graziati, rappresentano circa l’1 per cento del totale dei prigionieri di opinione in Myanmar.
 
D. – Il dato è ad effetto: 9002 prigionieri liberati per buona condotta, 7 per reati di opinione...
 
R. – Non è la prima volta, in questi anni: più volte il regime birmano ha aperto le porte delle carceri per liberare detenuti comuni. Mentre molto raramente queste misure sono state applicate anche nel caso di prigionieri politici.
 
D. – Perché si verificano liberazioni così consistenti: si tratta di gesti di clemenza o ci sono altri motivi?
 
R. – Ci sono problemi di sovraffollamento nelle carceri. Poi molti di questi detenuti vengono riciclati nelle milizie filogovernative.
 
D. – Dietro le sbarre in Myanmar ci sono ancora 2100 prigionieri politici...
 
R. – E’ una situazione drammatica che si trascina da anni e vediamo che è in aumento.
 
D. – Un anno fa, il 26 settembre del 2007, iniziava la dura repressione proprio in Myanmar delle manifestazioni antigovernative condotte dai monaci buddisti. Cosa è cambiato in un anno?
 
R. – In Myanmar è cambiato molto poco. Le libertà che venivano richieste allora non sono di fatto arrivate. Anzi, è aumentato il numero di persone che oggi si trovano in carcere, solo per aver chiesto nel Paese, in maniera pacifica e non violenta, delle riforme in una direzione democratica. Ricordiamo che Aung San Suu Kii, premio Nobel per la pace, si trova ancora agli arresti domiciliari.
 
D. – Concretamente, che cosa bisognerebbe fare nell’immediato?
 
R. – E' necessario che le Nazioni Unite condannino in maniera inequivocabile questa giunta e che lo facciano insieme con i partner asiatici, soprattutto quelli che fanno parte dell’Asean, la comunità economica del sud-est asiatico. Le pressioni devono essere fatte coinvolgendo tutti gli attori regionali che possono avere voce in capitolo per quanto riguarda la situazione del Myanmar; si deve portare anche la Cina ad avere una posizione meno accondiscendente nei confronti di questo Paese e cercare di conseguire dei risultati concreti.







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