Il Myanmar ad un anno dalle repressioni della giunta militare: intervista con Paolo
Pobbiati di Amnesty International
In Myanmar iniziava un anno fa la dura repressione della giunta al potere nei confronti
di monaci buddisti, attivisti e comuni cittadini per le manifestazioni in favore dei
diritti umani. Nella capitale Yangon si è tenuta, ieri, una marcia di protesta pacifica
di circa 100 monaci. Il segretario dell’ONU, Ban Ki-moon, è tornato a chiedere la
libertà per il premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, leader del partito d’opposizione
la “Lega nazionale per la democrazia”, agli arresti domiciliari da oltre 10 anni.
Intanto, nei giorni scorsi, sono stati rilasciati dal regime “per buona condotta”
oltre 9 mila prigionieri, tra i quali 7 detenuti per reati politici. Massimiliano
Menichetti ha raccolto il commento di Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty
International Italia. R. – Una buona
notizia ma si deve sottolineare che questi sette prigionieri d’opinione appartenenti
alla Lega nazionale per la democrazia, inseriti nel gruppo dei detenuti graziati,
rappresentano circa l’1 per cento del totale dei prigionieri di opinione in Myanmar. D.
– Il dato è ad effetto: 9002 prigionieri liberati per buona condotta, 7 per reati
di opinione... R. – Non è la prima volta, in questi anni: più
volte il regime birmano ha aperto le porte delle carceri per liberare detenuti comuni.
Mentre molto raramente queste misure sono state applicate anche nel caso di prigionieri
politici. D. – Perché si verificano liberazioni così consistenti:
si tratta di gesti di clemenza o ci sono altri motivi? R. –
Ci sono problemi di sovraffollamento nelle carceri. Poi molti di questi detenuti vengono
riciclati nelle milizie filogovernative. D. – Dietro le sbarre
in Myanmar ci sono ancora 2100 prigionieri politici... R. –
E’ una situazione drammatica che si trascina da anni e vediamo che è in aumento. D.
– Un anno fa, il 26 settembre del 2007, iniziava la dura repressione proprio in Myanmar
delle manifestazioni antigovernative condotte dai monaci buddisti. Cosa è cambiato
in un anno? R. – In Myanmar è cambiato molto poco. Le libertà
che venivano richieste allora non sono di fatto arrivate. Anzi, è aumentato il numero
di persone che oggi si trovano in carcere, solo per aver chiesto nel Paese, in maniera
pacifica e non violenta, delle riforme in una direzione democratica. Ricordiamo che
Aung San Suu Kii, premio Nobel per la pace, si trova ancora agli arresti domiciliari. D.
– Concretamente, che cosa bisognerebbe fare nell’immediato? R.
– E' necessario che le Nazioni Unite condannino in maniera inequivocabile questa giunta
e che lo facciano insieme con i partner asiatici, soprattutto quelli che fanno parte
dell’Asean, la comunità economica del sud-est asiatico. Le pressioni devono essere
fatte coinvolgendo tutti gli attori regionali che possono avere voce in capitolo per
quanto riguarda la situazione del Myanmar; si deve portare anche la Cina ad avere
una posizione meno accondiscendente nei confronti di questo Paese e cercare di conseguire
dei risultati concreti.