E’ stato dato l’annuncio ieri, con discrezione, della morte, all’età di 83 anni, di
Paul Newman, avvenuta dopo una lunga sofferenza che non ha mai intaccato il suo fascino
d’attore e la sua privata dignità di uomo e di padre. Dedito alla carriera, alla famiglia
e ad una beneficenza che lo pongono in un capitolo particolare della storia del cinema
e dell’America. Per questo non ci vorremmo far cogliere dalla tentazione di parlare
dei suoi occhi blu cobalto che hanno occupato le prime pagine dei giornali di tutto
il mondo. Forse avremmo ragione, se davvero sembra abbia una volta dichiarato quale
sarebbe dovuto essere il suo epitaffio: “Qui riposa un uomo che divenne finalmente
qualcuno quando i suoi occhi diventarono castani”. Non lo diventarono mai, quegli
occhi incredibili, del colore desiderato, ma Paul Newman lo si ricorderà come l’emblema
di un “divo” inimitabile, discreto e originale nelle sue scelte di vita e di cinema.
A partire da Cleveland, dove nacque nel 1925 occupandosi nella gioventù del negozio
paterno e da dove presto partì prima verso il Connecticut per gli studi universitari,
poi verso l’Actor’s Studio New York per calcare i primi palcoscenici e lì conoscere
la moglie di tutta una vita, Joanne Woodward, con lui sempre, ogni istante, ogni giorno,
fino alla fine, per cinquant’anni di fedeltà anche questa mai vistosamente, platealmente
vissuta e messa in piazza. Una carriera iniziata con un flop indimenticabile, nel
1954, Il calice d’argento (una bizzarria epica intorno al sangue di Cristo e al calice
per contenerlo) seguito da una carriera inappuntabile culminata con il suo unico Oscar
nel 1986 per Il colore dei soldi, e nel mezzo una serie di pellicole sempre interessanti,
alcune veri capolavori. Paul Newman è stato prima di tutto un cuore generoso, un padre
sofferente, un attore posato, dalla dignità e dallo stile rari negli ambienti di Hollywood.
Rari e oggi, se non per pochi, quasi scomparsi. Tanto quanto Marlon Brando, in quei
decenni suo antagonista sullo schermo e nella gara al fascino e al glamour, è diventato
icona di una trasgressione tentatrice e sorniona, così Paul la sua trasgressione l’ha
vissuta non con le donne, il denaro, il potere, ma limitandola a quattro ruote soltanto,
ossia guidando lui stesso bolidi capaci di dargli quella adrenalinica velocità che
la vita di famiglia e una carriera equilibrata e strategicamente lineare, suddivisa
tra kolossal e impegno, non gli avrebbero mai concesso. Poi, la famiglia, per lui
fonte di dolore e di amore insieme: dal primo matrimonio nacque Scott, deceduto per
overdose nel 1978. Da quel momento tragico nacque il suo desiderio di indirizzare
tutto questo suo successo, e denaro e fama al bene per gli altri. Fonda la Newman’s
Own che dal 1982, producendo salse con il suo bel viso sull’etichetta – in questo
caso una bellezza diventata socialmente utile – è riuscita a distribuire milioni di
dollari per scopi educativi e umanitari, creando campi estivi per bambini malati terminali.
Capace anche negli ultimi anni di rendere coerente alla sua professione l’aspetto
fisico, dandogli un senso, un valore in cui la vecchiaia non rimane soltanto il segno
degli anni che passano o della maturità raggiunta o della malattia vissuta, ma un
diverso modo d’essere attore. Anche questo, in qualche modo, potrebbe diventare un
ricordo scolpito nel suo epitaffio e che vorremmo rileggere negli anni che ci aspettano.
(A cura di Luca Pellegrini)