La guerra dimenticata in Congo. Pangea: è genocidio
Violenza in aumento e migliaia di sfollati in Kivu, nella Repubblica Democratica del
Congo. A denunciare l’allarmante situazione umanitaria è Medici Senza Frontiere, che
nella città di Masisi sta ancora curando i feriti degli ultimi scontri. Ma nel Paese
africano si fanno i conti anche con altre emergenze: nel Congo ex Zaire, infatti,
nel solo 2007 sono stati oltre 30.000 gli stupri perpetrati. A denunciarlo è la Fondazione
Pangea Onlus, attiva nella zona dal 2005, attraverso il sostegno a donne indigenti,
ragazze madri, malate di HIV. Ascoltiamo Luca Lo Presti, presidente di Pangea
Onlus, intervistato da Giada Aquilino:
R. – E’
veramente drammatico, perché la guerra nella Repubblica Democratica del Congo, specie
nella parte orientale, è veramente una guerra dimenticata. Si parla di genocidio,
si parla di stupro di massa, si parla di una guerra di interessi, di profitti per
speculatori, ricercatori di diamanti e di coltan. Ricordiamo che in quella zona del
Congo proprio lo stupro è un’arma di guerra, è una situazione ormai abituale. Un ricercatore
delle Nazioni Unite mi diceva addirittura, esterrefatto, che diventa una situazione
quasi di carattere culturale, di annientamento della personalità e delle etnie, per
cui queste truppe non governative che combattono questa guerriglia perpetrano stupri
di massa in villaggi proprio per annientare la psicologia e la personalità delle persone.
E’ veramente una situazione drammatica che la comunità internazionale dovrebbe affrontare
e sulla quale bisognerebbe intervenire, perchè si parla di milioni di persone costrette
alla fuga dopo questi quattro anni, nei quali è stato sottoscritto un accordo di pace.
Noi, come Fondazione Pangea, ci adoperiamo perché la situazione migliori. Lavoriamo
proprio con le donne vittime di questa guerra, vittime di questa violenza, perché
la vita possa ripartire anche in queste condizioni dove sembra improbabile, per non
dire impossibile.
D. – Come avviene il vostro lavoro?
R.
– Abbiamo aperto proprio dei centri donna, all’interno dei quali cerchiamo di ridare
tutte quelle cose che ad una persona servono perché la sua vita possa ripartire e
si possa ristrutturare e abbiamo anche aperto proprio un ambulatorio per le visite
ginecologiche e per l’assistenza a queste donne, che subiscono violenza e che scappano
dalla guerra.
D. – Danni fisici, psicologici, ma
anche sociali, ma come si può ripartire?
R. – Assistendo
queste donne, ridando loro la fiducia. Il lavoro che si fa non è solo sul soggetto
donna, ma è sul soggetto mamma. Quindi, vuol dire generatrici di speranza, di reddito
per le nuove generazioni che sono i bambini.
D. –
Purtroppo per il Congo, in particolare per il Kivu, si parla ancora di violenze e
di sfollati. Qual è l’appello di Pangea alla comunità internazionale?
R.
– La comunità internazionale questa situazione la conosce molto bene. Le Nazioni Unite
e gli osservatori internazionali sono in quelle zone di guerra. Occorre che tutti
noi non ci si dimentichi che il mondo è grande e non è fatto solo di casa nostra e
che queste situazioni si ripercuotono poi come un’onda d’urto su tutta la popolazione
mondiale.