In India è stato assassinato un altro prete cattolico: padre Samuel Francis, meglio
noto come Swami Astheya (il cui significato è “persona scevra da avarizia”). Lo riferisce
AsiaNews. Il cadavere presentava mani legate dietro la schiena, la bocca imbavagliata
da uno straccio e con ferite sulla fronte. Aveva circa 50 anni ed era solito indossare
abiti caratteristici della tradizione indiana Sanyasin (i monaci induisti che praticano
una vita ascetica); viveva in un ashram (un monastero), insegnando yoga e meditazione.
Chota Rampur, villaggio che il prete cattolico aveva eletto a suo rifugio, si trova
a 27 km da Dehradun, appartiene alla diocesi di Meerut - una suffraganea dell'arcidiocesi
di Agra - ed è distante circa 400 km da New Delhi. Non sono ancora chiare le dinamiche
dell’assassinio e il movente: la polizia non esclude possa trattarsi di un tentativo
di furto conclusosi in maniera tragica, visto che l’ashram è stato saccheggiato dagli
assassini prima della fuga. Insieme al prete è stato ritrovato anche il cadavere di
una donna, affetta parzialmente da disturbi psichici, uccisa nel magazzino dell'ashram.
P. Davis Varayilan, professore al Samanvayan Theological College, riferisce di conoscere
bene il prete ucciso e ne elogia la “generosità”, il buon cuore e l’intelligenza:
“È l’ennesima tragedia per la Chiesa indiana – confessa ad AsiaNews. Spesso mandavamo
i nostri seminaristi a vivere per un po' nel suo ashram; agli inizia degli anni ’80
era il responsabile per la pastorale giovanile della diocesi di Meerut”. La sua abitazione
è divenuta nel tempo anche il centro privilegiato per il dialogo interreligioso, per
la promozione dell’armonia e dell’unità fra le persone. “Era una persona amata e rispettata
da tutti: indù, musulmani, Sikh Jains, dai poveri e dagli emarginati”.Intanto nel
Paese continua l’ondata di violenze contro i cristiani. In Orissa altri due fedeli
sono stati uccisi e tagliati a pezzi. Uno di loro era stato fermato nel distretto
di Kandhamal sabato scorso da un gruppo di estremisti indù mentre con la moglie cercava
di scappare verso un campo di rifugio. La sua casa è stata incendiata. L’altra vittima
era di Nilungia. Il suo corpo è stato tagliato a pezzi, messo in un sacco di juta
e gettato in uno stagno. Secondo stime dell’All India Christian Council, citato dall'agenzia
AsiaNews, nel solo Stato dell’Orissa sono stati uccisi 37 cristiani, compresi 2 pastori
protestanti; bruciate oltre 4 mila case di cristiani; costretti alla fuga più di 50
mila fedeli. Di questi solo 14 mila sarebbero in campi profughi approntati dal governo.
Altre decine di migliaia sono dispersi nella foresta. Il primo obiettivo dei radicali
indù sono i sacerdoti, le suore e le loro famiglie. Essi vengono attaccati e spesso
costretti a convertirsi all’induismo. Sacerdoti e suore presenti nei campi devono
nascondere la loro identità. Dall’Orissa la violenza si è diffusa in altri Stati:
Chhattisghar, Madhya Pradesh, Karnataka e Kerala. Ieri mattina la chiesa del Santo
Nome di Gesù a Bangalore è stata assalita da vandali. Una statua della Madonna è stata
sfigurata lanciandovi contro delle pietre. Il giorno prima sempre a Bangalore, è stata
saccheggiata la chiesa di San Giacomo. I vandali hanno dissacrato le Ostie e danneggiato
mobili e panche. Un’altra chiesa a Siddapura (distretto di Kodagu) ha subito danni
alle finestre. In Kerala, due chiese fra le più antiche dell’India sono state saccheggiate.
Ieri, una statua del Cristo della chiesa di Protasio e Gervasio (XVII secolo) è stata
rotta e gettata giù dal piedistallo. La chiesa appartiene al rito siro-malabarico.
Anche la vicina cattedrale dei Giacobiti, la Mar Sabore Afroth Church ha subito danni:
le finestre sono state rotte e alcune reliquie di S. Paulos Mar Athanasius distrutte.
La chiesa dei Giacobiti è stata edificata nell’825.