Appello di Amnesty: no all'export di armi nei Paesi a rischio di violazioni dei diritti
umani
I governi impediscano i trasferimenti di armi laddove vi sia il rischio sostanziale
che esse possano essere usate per compiere gravi violazioni dei diritti umani. E’
l’appello lanciato da Amnesty International alla vigilia della riunione, in ottobre,
in cui gli Stati membri dell’ONU decideranno se progredire sulla via di un Trattato
sul commercio delle armi. Ma quali sono i principali esportatori di armi? Debora
Donnini lo ha chiesto a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International
Italia: R. – I principali
esportatori di armi - riferiti all’anno 206 - sono tutti Stati membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza: quindi gli Stati che contano, gli Stati che hanno una parola
sui destini dell’umanità, sulla pace e sulla sicurezza sono poi anche gli stessi Stati
che quella pace e quella sicurezza la mettono a rischio attraverso commerci di armi,
che sono commerci intanto legali e - in secondo luogo - controllati ed autorizzati
dai governi. C’è, quindi, una piena responsabilità dei governi ed è per questo che
Amnesty chiede loro che si sia questa norma inderogabile per cui non si mandino armi
verso quei Paesi, nei quali verranno probabilmente utilizzate per compiere violazioni
dei diritti umani. D. – Ma quali sono i Paesi in cui le armi
sono usate in violazione dei diritti umani? R. – Certamente
i casi più evidenti sono quelli del Darfur, oltre che dell’Iraq o della Colombia.
In Darfur noi abbiamo due Stati certamente membri permanenti del Consiglio di sicurezza
- Cina e Russia - che inviano armi senza soluzione di continuità, elicotteri, aerei,
munizioni, pistole e fucili. C’è poi un terzo Stato membro permanente del Consiglio
di sicurezza - gli Stati Uniti, insieme anche alla Gran Bretagna, e siamo quindi già
a quattro - che dal 2003 ha inondato di armi l’Iraq, con l’obiettivo di riarmare e
riorganizzare le forze di sicurezza di Baghdad, ma con il risultato di averle fatto
finire anche nelle mani dei gruppi armati o sul mercato nero: e questo per assenza
di controlli o per comportamenti dubbi di intermediari. Questi casi sono la prova
provata, la più evidente, che se si va verso un Trattato che non contenga una norma
precisa, che è quella di vietare trasferimenti verso Paesi in cui le armi verranno
usate per violare i diritti umani, questo Trattato rischierà di essere inefficace. D.
– Questa vostra richiesta verrà accolta oppure no? R. – Noi
siamo fiduciosi che passi. Da un lato è inconcepibile continuare ad assistere -voltandosi
da un’altra parte – al fatto che ogni giorno vengono uccise almeno mille persone in
media – e ripeto ogni giorno - a causa dell’uso di armi da fuoco per compiere violazioni
dei diritti umani. Dall’altro c’è da dire che la mobilitazione della società civile,
delle Organizzazioni per i diritti umani, la campagna promossa da Amnesty International,
il voto di 153 Stati membri dell’ONU nel dicembre del 2006, il fatto che fra questi
Stati membri che hanno votato a favore ci sono anche grandi esportatori di armi –
penso al Brasile, ma penso anche alla stessa Italia – probabilmente dimostra che c’è
una consapevolezza che sta crescendo su quando danno in vite umane, in termini di
insicurezza, in termini di instabilità stanno provocando i commerci irresponsabili
di armi. Quindi siamo ottimisti, ma certo è che non si possono lasciare i rappresentanti
dei governi chiusi da soli in una sala a discutere su questo Trattato, perché ci sarebbe
poi il rischio che questo Trattato possa essere annacquato o comunque rimanga inefficace.