Convegno a Roma sul Motu Proprio Summorum Pontificum: l'intervento di don Nicola Bux
Si è aperto oggi a Roma, presso l’Istituto Maria Santissima Bambina, un Convegno sul
Motu Proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI sulla liberalizzazione dell’uso
del Messale di San Pio V, riformato da Giovanni XXIII nel 1962. Durante l’incontro,
organizzato ad un anno dell’entrata in vigore delle disposizioni pontificie, sono
stati rilevati progressi ma anche alcune difficoltà nella loro applicazione. Il Papa,
incontrando i vescovi francesi a Lourdes domenica scorsa, aveva auspicato una “pacificazione
degli spiriti” sulla questione, ricordando che “nessuno è di troppo nella Chiesa”
e che “ciascuno, senza eccezioni, in essa deve potersi sentire ‘a casa sua’, e mai
rifiutato”. Ascoltiamo in proposito, al microfono di Fabio Colagrande, il teologo
don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede,
presente al convegno di Roma:
R. – L’intervento
recente del Santo Padre in Francia, dicendo che nessuno è di troppo nella Chiesa,
in un certo senso dovrebbe indurre tutti, a cominciare dai vescovi e dai sacerdoti,
ad una riflessione sul concetto di comunione. La comunione non è una realtà che facciamo
noi, che costruiamo noi, è una realtà che riceviamo dal Signore, che riceviamo dalla
storia, dalla tradizione. Quindi, in questa comunione tutti noi ci ritroviamo. Non
siamo noi i padroni. E la liturgia non è nient’altro che un’espressione di questa
comunione con i secoli passati, con le generazioni che ci hanno preceduto, e trasmettiamo
questa medesima comunione a coloro che verranno. Credo che questo sia il punto anche
a fondamento del Motu Proprio di Papa Benedetto XVI. Lui l’ha scritto più volte, già
quando era teologo e cardinale. Tutti noi parliamo di pluralismo, questa è una delle
parole “magiche”. Certo, noi non professiamo nel Credo la Chiesa pluralista, noi professiamo
la Chiesa una, però professiamo la Chiesa cattolica e la parola “cattolica” significa
una inclusione globale delle diverse forme, anche, in questo caso, di espressione
della fede. Sappiamo che la fede non si esprime in un solo modo. Tutti noi abbiamo
imparato che c’è l’Oriente e che esprime la sua fede in una sua peculiare maniera.
Quindi, perché stupirci? Fra l’altro, è proprio nella tradizione che in Occidente
ci siano liturgie diverse. Ci sono sempre state: l’Ambrosiana, la Gallicana, la Mozarabica,
la Romana. Quindi, credo che aprirsi a questo senza pregiudizi sia anche segno culturale,
segno di cultura.
D. – Lei, don Nicola Bux, partecipa
al Convegno con una relazione dedicata alla riforma paziente di Benedetto XVI, tra
tradizione e innovazione...
R. – Io personalmente
sono sempre stato anche un fautore delle innovazioni. Io celebro la Messa ordinaria
in modo quotidiano, ma non mi sono mai rifiutato di celebrare anche la Messa nella
forma straordinaria. Non credo che ci sia opposizione tra le due forme, ma come dice
il Santo Padre, un arricchimento. Provare per credere. Il presidente della Pontificia
Commissione Ecclesia Dei, il cardinale Castrillón Hoyos, proprio interpretando
la mens del Motu Proprio del Santo Padre ha detto che i vescovi non devono solo attendere
che siano i fedeli a chiederlo, ma devono anche proporre ai fedeli di attingere a
quello che è il nostro patrimonio, il patrimonio della nostra tradizione. Ecco, ci
vuole più coraggio da parte dei vescovi e credo che ne trarrà giovamento il senso
di sacro e di mistero, anche necessario alla nuova forma rituale della Messa, che
è stata rinnovata dal Concilio Vaticano II.
D. –
Don Nicola Bux, perché ogni volta che il Papa parla di questo tema, – lo ha fatto
anche in Francia – sui giornali poi leggiamo commenti, titoli, che in qualche modo
tacciano il Papa di volersi chiudere in una sorta di conservatorismo...
R.
– Chi conosce Joseph Ratzinger dai suoi scritti non da ora, mai potrebbe tacciarlo
di cosiddetto conservatorismo. Il punto è capire che non c’è vera innovazione tagliando
la tradizione. Credo che tutti noi questo lo comprendiamo. Bisogna eliminare le paure,
tipo che si neghi il Concilio Vaticano II, che è assolutamente fuori discussione.
Ci vuole apertura sia da parte di chi ha questa preoccupazione, come da parte di chi
ama di più la tradizione, e non potrà non venirne un grande vantaggio salutare per
gli uni e per gli altri, soprattutto per la Chiesa.