2008-09-16 14:29:48

Convegno a Roma sul Motu Proprio Summorum Pontificum: l'intervento di don Nicola Bux


Si è aperto oggi a Roma, presso l’Istituto Maria Santissima Bambina, un Convegno sul Motu Proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI sulla liberalizzazione dell’uso del Messale di San Pio V, riformato da Giovanni XXIII nel 1962. Durante l’incontro, organizzato ad un anno dell’entrata in vigore delle disposizioni pontificie, sono stati rilevati progressi ma anche alcune difficoltà nella loro applicazione. Il Papa, incontrando i vescovi francesi a Lourdes domenica scorsa, aveva auspicato una “pacificazione degli spiriti” sulla questione, ricordando che “nessuno è di troppo nella Chiesa” e che “ciascuno, senza eccezioni, in essa deve potersi sentire ‘a casa sua’, e mai rifiutato”. Ascoltiamo in proposito, al microfono di Fabio Colagrande, il teologo don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, presente al convegno di Roma:RealAudioMP3

R. – L’intervento recente del Santo Padre in Francia, dicendo che nessuno è di troppo nella Chiesa, in un certo senso dovrebbe indurre tutti, a cominciare dai vescovi e dai sacerdoti, ad una riflessione sul concetto di comunione. La comunione non è una realtà che facciamo noi, che costruiamo noi, è una realtà che riceviamo dal Signore, che riceviamo dalla storia, dalla tradizione. Quindi, in questa comunione tutti noi ci ritroviamo. Non siamo noi i padroni. E la liturgia non è nient’altro che un’espressione di questa comunione con i secoli passati, con le generazioni che ci hanno preceduto, e trasmettiamo questa medesima comunione a coloro che verranno. Credo che questo sia il punto anche a fondamento del Motu Proprio di Papa Benedetto XVI. Lui l’ha scritto più volte, già quando era teologo e cardinale. Tutti noi parliamo di pluralismo, questa è una delle parole “magiche”. Certo, noi non professiamo nel Credo la Chiesa pluralista, noi professiamo la Chiesa una, però professiamo la Chiesa cattolica e la parola “cattolica” significa una inclusione globale delle diverse forme, anche, in questo caso, di espressione della fede. Sappiamo che la fede non si esprime in un solo modo. Tutti noi abbiamo imparato che c’è l’Oriente e che esprime la sua fede in una sua peculiare maniera. Quindi, perché stupirci? Fra l’altro, è proprio nella tradizione che in Occidente ci siano liturgie diverse. Ci sono sempre state: l’Ambrosiana, la Gallicana, la Mozarabica, la Romana. Quindi, credo che aprirsi a questo senza pregiudizi sia anche segno culturale, segno di cultura.

 
D. – Lei, don Nicola Bux, partecipa al Convegno con una relazione dedicata alla riforma paziente di Benedetto XVI, tra tradizione e innovazione...

 
R. – Io personalmente sono sempre stato anche un fautore delle innovazioni. Io celebro la Messa ordinaria in modo quotidiano, ma non mi sono mai rifiutato di celebrare anche la Messa nella forma straordinaria. Non credo che ci sia opposizione tra le due forme, ma come dice il Santo Padre, un arricchimento. Provare per credere. Il presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il cardinale Castrillón Hoyos, proprio interpretando la mens del Motu Proprio del Santo Padre ha detto che i vescovi non devono solo attendere che siano i fedeli a chiederlo, ma devono anche proporre ai fedeli di attingere a quello che è il nostro patrimonio, il patrimonio della nostra tradizione. Ecco, ci vuole più coraggio da parte dei vescovi e credo che ne trarrà giovamento il senso di sacro e di mistero, anche necessario alla nuova forma rituale della Messa, che è stata rinnovata dal Concilio Vaticano II.

 
D. – Don Nicola Bux, perché ogni volta che il Papa parla di questo tema, – lo ha fatto anche in Francia – sui giornali poi leggiamo commenti, titoli, che in qualche modo tacciano il Papa di volersi chiudere in una sorta di conservatorismo...

 
R. – Chi conosce Joseph Ratzinger dai suoi scritti non da ora, mai potrebbe tacciarlo di cosiddetto conservatorismo. Il punto è capire che non c’è vera innovazione tagliando la tradizione. Credo che tutti noi questo lo comprendiamo. Bisogna eliminare le paure, tipo che si neghi il Concilio Vaticano II, che è assolutamente fuori discussione. Ci vuole apertura sia da parte di chi ha questa preoccupazione, come da parte di chi ama di più la tradizione, e non potrà non venirne un grande vantaggio salutare per gli uni e per gli altri, soprattutto per la Chiesa.







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