Concluso a Genova il convegno dedicato al cardinale Siri
“Un forte senso della trascendenza di Dio, della dignità dell’uomo e dell’appartenenza
alla Chiesa, intesa come appartenenza globale, non solo giuridica, tale da investire
ogni momento ed ogni azione della sua vita, anche la più quotidiana”. Questa la sintesi
tracciata ieri all’università di Genova, dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente
della Conferenza episcopale italiana, in chiusura del convegno dedicato al cardinale
Giuseppe Siri, arcivescovo della città dal 1946 al 1987. Consigliere di Papa Pio XII,
nominato primo presidente della CEI da Giovanni XXIII, per quattro volte elettore
in Conclave, il porporato è spesso ricordato in modo molto parziale per il suo “conservatorismo”
all’interno della Chiesa. Una visione che – hanno sostenuto ieri le testimonianze
di storici, giuristi, studiosi della Chiesa – è assai parziale. E non rende giustizia
del profondo rispetto che nutriva per Dio e per gli uomini. Lorenzo Ornaghi, rettore
dell’Università Cattolica, ha parlato del rapporto tra il cardinale Siri e padre Agostino
Gemelli, fondatore e per 40 anni rettore della Cattolica: “Due testimoni autorevoli
e ascoltati – ha sottolineato – che avevano come priorità la formazione dei giovani
e le grandi questioni della società, intorno alle quali crearono quel “crogiuolo di
pensiero e di intuizioni”. Della lungimiranza dell’arcivescovo di Genova – rende noto
'Avvenire' – ha parlato anche Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro: “Siri
già nel preparare la sua presenza al Concilio Vaticano II ha visto con largo anticipo
i problemi della Chiesa e della società, intuendo tematiche come il rapporto tra il
Papa e il collegio episcopale, il problema della libertà religiosa, della riforma
liturgica, della dottrina sociale”. Una lungimiranza che “nasceva da una fede incondizionata
in Dio. Di fronte a Dio, diceva lui, l’uomo deve sparire. Ma sparire in Dio paradossalmente
rende l’uomo capace di vedere lontano nei giudizi”. Un concetto ribadito dal cardinale
Bagnasco: “Nella sua ultima omelia – ricorda il presidente della CEI – ormai sfinito
dalla malattia, ci parlò della luce di Dio, una luce che non abbaglia ma dà prospettiva
e senso alle cose umane. Lui così riservato ci stava rivelando il segreto interiore
del suo pellegrinaggio: quel vivere, quel respirare, quel bere, quel nutrirsi della
luce di Dio che non impedisce di guardare il mondo – quanto lo ha fatto lui ne siamo
tutti testimoni qui! – ma di abbracciarlo con tutte le sue debolezze e contraddizioni”.
(S.G.)