Fuggite l'idolatria del denaro, del potere e del sapere! L'esortazione di Benedetto
XVI all'Esplanade des Invalides. E poi: "Mai Dio chiede all'uomo di sacrificare la
sua ragione!"
Oltre 250 mila persone hanno partecipato questa mattina alla Messa celebrata dal Papa
all'Esplanade des Invalid,a Parigi. Benedetto XVI nella sua omelia ha invitato a fuggire
l'idolatria del denaro, del potere e anche del sapere. L'idolo è un inganno - ha spiegato
- perché distoglie chi lo serve per confinarlo nel regno dell'apparenza. E' Cristo
invece il solo Salvatore, il solo che indica all'uomo la strada verso Dio, verso la
felicità. Quindi il Papa ha ricordato che "mai Dio domanda all'uomo di fare il sacrificio
della sua ragione! Mai la ragione entra in contraddizione con la fede!". Ecco il testo
integrale dell'omelia:
Signor Cardinale Vingt-Trois, Signori Cardinali e
cari Fratelli nell’Episcopato, fratelli e sorelle in Cristo,
Gesù Cristo
ci raccoglie in questo mirabile luogo, nel cuore di Parigi, in questo giorno in cui
la Chiesa universale festeggia san Giovanni Crisostomo, uno dei suoi più grandi Dottori,
che, con la sua testimonianza di vita e il suo insegnamento, ha mostrato efficacemente
ai cristiani la via da seguire. Saluto con gioia tutte le Autorità che mi hanno accolto
in questo nobile città, in modo particolare il Cardinale André Vingt-Trois, che ringrazio
per le gentili parole rivoltemi. Saluto anche tutti i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi
che mi circondano per la celebrazione del Sacrificio di Cristo. Ringrazio tutte le
Personalità, in particolare il Signor Primo Ministro, che hanno voluto essere presenti
qui stamane; le assicuro della mia preghiera fervente per il compimento della loro
alta missione a servizio dei loro concittadini.
La prima Lettera di san Paolo,
indirizzata ai Corinzi, ci fa scoprire, in quest’anno paolino, aperto il 28 giugno
scorso, quanto i consigli dati dall’Apostolo restino attuali. “Fuggite l’idolatria”
(1 Cor 10, 14), scrive ad una comunità molto segnata dal paganesimo e divisa tra l’adesione
alla novità del Vangelo e l’osservanza delle antiche pratiche ereditate dagli avi.
Fuggire gli idoli, questo allora voleva dire cessare di onorare le divinità dell’Olimpo,
cessare di offrire loro sacrifici cruenti. Fuggire gli idoli, era mettersi alla scuola
dei profeti dell’Antico Testamento, che denunciavano la tendenza dello spirito umano
a forgiarsi delle false rappresentazioni di Dio. Come dice il Salmo 113 a proposito
delle statue degli idoli, esse non sono che “argento e oro, opera delle mani dell’uomo.
Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno
narici e non odorano” (vv. 4-5). A parte il popolo d’Israele che aveva ricevuto la
rivelazione del Dio unico, il mondo antico era asservito al culto degli idoli. Molto
presenti a Corinto, gli errori del paganesimo dovevano essere denunciati, perché costituivano
una potente alienazione e distoglievano l’uomo dal suo vero destino. Essi gli impedivano
di riconoscere che Cristo è il solo Salvatore, il solo che indica all’uomo la strada
verso Dio.
Questo invito a fuggire gli idoli resta valido anche oggi. Il mondo
contemporaneo non si è forse creato i propri idoli? Non ha forse imitato, magari a
sua insaputa, i pagani dell’antichità, distogliendo l’uomo dal suo vero fine, dalla
felicità di vivere eternamente con Dio? È questa una domanda che ogni uomo, onesto
con se stesso, non può non porsi. Che cosa è importante nella mia vita? Che cosa metto
io al primo posto? La parola “idolo” deriva dal greco e significa “immagine”, “figura”,
“rappresentazione”, ma anche “spettro”, “fantasma”, “vana apparenza”. L’idolo è un
inganno, perché distoglie dalla realtà chi lo serve per confinarlo nel regno dell’apparenza.
Ora, non è questa una tentazione propria della nostra epoca, che è la sola sulla quale
noi possiamo agire efficacemente? Tentazione d’idolatrare un passato che non esiste
più, dimenticandone le carenze; tentazione d’idolatrare un futuro che non esiste
ancora, credendo che l’uomo, con le sole sue forze, possa realizzare la felicità eterna
sulla terra! San Paolo spiega ai Colossesi che la cupidigia insaziabile è una idolatria
(cfr 3, 5), e ricorda al suo discepolo Timoteo che la brama del denaro è la radice
di tutti i mali. Per essercisi abbandonati, precisa, “alcuni hanno deviato dalla fede
e si sono da se stessi tormentati con molti dolori” (1 Tm 6, 10). Il denaro, la sete
dell’avere, del potere e persino del sapere non hanno forse distolto l’uomo dal suo
Fine vero?
Cari fratelli e sorelle, la questione che ci pone la liturgia di
questo giorno trova la risposta in questa stessa liturgia, che noi abbiamo ereditato
dai nostri Padri nella fede, e in particolare da san Paolo stesso (cfr 1 Cor 11, 23).
Nel suo commento a questo testo san Giovanni Crisostomo fa rilevare che san Paolo
condanna severamente l’idolatria come una “colpa grave”, uno “scandalo”, una vera
“peste” (Omelia 24 sulla Prima Lettera ai Corinzi, 1). Egli aggiunge immediatamente
che questa condanna radicale dell’idolatria non è in alcun caso una condanna della
persona dell’idolatra. Mai, nei nostri giudizi, dobbiamo confondere il peccato, che
è inaccettabile, e il peccatore del quale non possiamo giudicare lo stato di coscienza
e che, in ogni caso, è sempre suscettibile di conversione e di perdono. San Paolo
si appella in questo alla ragione dei suoi lettori: “Parlo come a persone intelligenti;
giudicate voi stessi quello che dico” (1 Cor 10, 15). Mai Dio domanda all’uomo di
fare sacrificio della sua ragione! Mai la ragione entra in contraddizione reale con
la fede! L’unico Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – ha creato la nostra ragione
e ci dona la fede, proponendo alla nostra libertà di riceverla come un dono prezioso.
È il culto degli idoli che distoglie l’uomo da questa prospettiva, e la ragione stessa
può forgiarsi degli idoli. Domandiamo, dunque, a Dio che ci vede e ci ascolta di aiutarci
a purificarci da tutti gli idoli, per accedere alla verità del nostro essere, per
accedere alla verità del suo Essere infinito!
Come giungere a Dio? Come giungere
a trovare o ritrovare Colui che l’uomo cerca nel più profondo di se stesso, pur dimenticandolo
così sovente? San Paolo ci domanda di fare uso non solamente della nostra ragione,
ma soprattutto della nostra fede per scoprirlo. Ora, che cosa ci dice la fede? Il
pane che noi spezziamo è comunione al Corpo di Cristo; il calice di ringraziamento
che noi benediciamo è comunione al Sangue di Cristo. Rivelazione straordinaria, che
ci viene da Cristo e ci è trasmessa dagli Apostoli e da tutta la Chiesa da quasi duemila
anni: Cristo ha istituito il sacramento dell’Eucaristia la sera del Giovedì Santo.
Egli ha voluto che il suo sacrificio fosse nuovamente presentato, in modo incruento,
ogni volta che un sacerdote ridice le parole della consacrazione sul pane e sul vino.
Milioni di volte da venti secoli, nella più umile delle cappelle come nella più grandiosa
delle basiliche o delle cattedrali, il Signore risorto si è donato al suo popolo,
divenendo così, secondo la formula di sant’Agostino, “più intimo a noi che noi medesimi”
(cfr Confess. III, 6.11).
Fratelli e sorelle, circondiamo della più grande
venerazione il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, il Santissimo Sacramento
della presenza reale del Signore alla sua Chiesa e all’intera umanità. Non trascuriamo
nulla per manifestarGli il nostro rispetto ed il nostro amore! DiamoGli i più grandi
segni d’onore! Mediante le nostre parole, i nostri silenzi e i nostri gesti, non accettiamo
mai che in noi ed intorno a noi si appanni la fede nel Cristo risorto, presente nell’Eucaristia.
Come dice magnificamente lo stesso san Giovanni Crisostomo: “Passiamo in rassegna
gli ineffabili benefici di Dio e tutti i beni di cui Egli ci fa gioire, quando noi
gli offriamo questo calice, quando noi ci comunichiamo, ringraziandolo di aver liberato
il genere umano dall’errore, di aver avvicinato a sé coloro che se ne erano allontanati,
di aver fatto di disperati e di atei di questo mondo un popolo di fratelli, di coeredi
del Figlio di Dio” (Omelia 24 sulla Prima Lettera ai Corinzi, 1). In effetti, egli
prosegue, “ciò che è nel calice è precisamente ciò che è colato dal suo costato ed
è a questo che noi partecipiamo” (ibid.). Non c’è soltanto partecipazione e condivisione,
c’è anche “unione”, egli ci dice.
La Messa è il sacrificio d’azione di grazie
per eccellenza, quello che ci permette d’unire la nostra azione di grazie a quella
del Salvatore, il Figlio eterno del Padre. In se stessa la Messa ci invita anche a
fuggire gli idoli, perché, è san Paolo ad insistervi, “non potete bere il calice del
Signore ed il calice dei demoni” (1 Cor 10, 21). La Messa ci invita a discernere ciò
che, in noi, obbedisce allo Spirito di Dio e ciò che, in noi, resta in ascolto dello
spirito del male. Nella Messa noi non vogliamo appartenere che al Cristo e riprendiamo
con gratitudine – con “azione di grazie” – il grido del Salmista: “Che cosa renderò
al Signore per quanto mi ha dato” (Sal 116, 12). Sì, come rendere grazie al Signore
per la vita che Egli mi ha donato? La risposta alla domanda del Salmista si trova
nel Salmo stesso, perché la Parola di Dio risponde misericordiosamente essa stessa
alle domande che pone. Come rendere grazie al Signore per tutto il bene che Egli ci
fa, se non attenendoci alle stesse sue parole: “Alzerò il calice della salvezza e
invocherò il nome del Signore” (Sal 116, 13)?
Alzare il calice della salvezza
ed invocare il nome del Signore non è forse precisamente il mezzo migliore di “fuggire
gli idoli”, come ci chiede san Paolo? Ogni volta che una Messa è celebrata, ogni volta
che il Cristo si rende sacramentalmente presente nella sua Chiesa, è l’opera della
nostra salvezza che si compie. Celebrare l’Eucaristia significa perciò riconoscere
che Dio solo è in grado di donarci la felicità in pienezza, di insegnarci i veri valori,
i valori eterni che non conosceranno mai tramonto. Dio è presente sull’altare, ma
Egli è pure presente sull’altare del nostro cuore quando, comunicandoci, noi lo riceviamo
nel Sacramento eucaristico. Lui solo ci insegna a fuggire gli idoli, miraggi del pensiero.
Ora,
cari fratelli e sorelle, chi può elevare il calice della salvezza ed invocare il nome
del Signore per conto dell’intero popolo di Dio, se non il sacerdote ordinato per
questo scopo dal Vescovo? Qui, cari abitanti di Parigi e della regione parigina, ma
anche voi tutti che siete venuti dall’intera Francia e da altri Paesi confinanti,
permettetemi di lanciare un appello pieno di fiducia nella fede e nella generosità
dei giovani, che si pongono la domanda sulla vocazione religiosa o sacerdotale: Non
abbiate paura! Non abbiate paura di donare la vostra vita a Cristo! Niente rimpiazzerà
mai il ministero dei sacerdoti nella vita della Chiesa. Niente rimpiazzerà mai una
Messa per la salvezza del mondo! Cari giovani o meno giovani che mi ascoltate, non
lasciate senza risposta la chiamata di Cristo. San Giovanni Crisostomo, nel suo Trattato
sul sacerdozio, ha mostrato quanto la risposta dell’uomo possa essere lenta a venire,
ma egli è l’esempio vivente dell’azione di Dio su una libertà umana che si lascia
modellare dalla sua grazia.
Infine, se riprendiamo le parole che Cristo ci
ha lasciato nel suo Vangelo, vedremo che Egli in persona ci ha insegnato a fuggire
l’idolatria, invitandoci a costruire la nostra casa “sulla roccia” (Lc 6, 48). Chi
è questa roccia, se non Lui stesso? I nostri pensieri, le nostre parole e le nostre
azioni non acquistano la loro vera dimensione che se le riferiamo al messaggio del
Vangelo: “La bocca parla dalla pienezza del cuore” (Lc 6, 45). Quando parliamo, cerchiamo
noi il bene del nostro interlocutore? Quando pensiamo, cerchiamo di mettere il nostro
pensiero in sintonia con il pensiero di Dio? Quando agiamo, cerchiamo di diffondere
l’Amore che ci fa vivere? San Giovanni Crisostomo dice ancora: “Ora, se noi partecipiamo
tutti del medesimo pane e se tutti diveniamo questa stessa sostanza, perché non mostriamo
la medesima carità? Perché, per la stessa ragione, non diventiamo un unico tutt’uno?
… O uomo, è il Cristo che è venuto a cercarti, a cercare te che eri così lontano da
lui, per unirsi a te; e tu non ti vuoi unire al tuo fratello?” (Omelia 24 sulla Prima
Lettera ai Corinti, 2).
La speranza resterà sempre la più forte! La Chiesa,
costruita sulla roccia di Cristo, possiede le promesse della vita eterna non perché
i suoi membri siano più santi degli altri uomini, ma perché Cristo ha fatto questa
promessa a Pietro: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le
porte degli inferi non prevarranno contro di essa”(Mt 16, 18). In questa speranza
indefettibile nella presenza eterna di Dio in ciascuna delle nostre anime, in questa
gioia di sapere che Cristo è con noi fino alla fine dei tempi, in questa forza che
lo Spirito Santo dona a tutti gli uomini e a tutte le donne che accettano di lasciarsi
afferrare da Lui, io vi affido, cari cristiani di Parigi e di Francia all’azione potente
e misericordiosa del Dio d’amore che è morto per noi sulla Croce e risorto vittoriosamente
al mattino di Pasqua. A tutti gli uomini di buona volontà che mi ascoltano, io ridico
con san Paolo: Fuggite il culto degli idoli, non smettete di fare il bene!
Che
Dio nostro Padre vi attragga a sé e faccia brillare su di voi lo splendore della sua
gloria! Che il Figlio unico di Dio, nostro Maestro e nostro Fratello, vi riveli la
bellezza del suo volto di Risorto! Che lo Spirito Santo vi colmi dei suoi doni e vi
dia la gioia di conoscere la pace e la luce della Santissima Trinità, ora e nei secoli
dei secoli! Amen.