Benedetto XVI agli intellettuali francesi: il fondamento della cultura dell’Europa
è la ricerca di Dio, ma per molti oggi Dio è diventato il grande Sconosciuto
L’Europa ha bisogno di Dio, di cercarlo ed ascoltarlo. E’ questa ricerca il vero fondamento
di ogni cultura: ieri sera, al Collége des Bernardins di Parigi, Benedetto XVI ha
sviluppato il suo pensiero sull’umanesimo europeo. Lo ha fatto con un appassionato
discorso davanti a 700 rappresentanti del mondo della cultura francese, tra cui alcuni
esponenti dell’UNESCO. Nel suo articolato intervento, il Papa ha richiamato la straordinaria
esperienza del monachesimo occidentale che proprio ricercando Dio ha formato una nuova
cultura per i popoli dell’Europa. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Con il suo
discorso agli esponenti della cultura francese, Benedetto XVI ha compiuto un viaggio
avvincente alle origini della teologia occidentale e alle radici della cultura europea.
Una lectio magistralis in cui il Papa ha ribadito che, oggi come nel Medioevo, è la
ricerca di Dio il vero fondamento della civiltà europea. Il Papa ha sviluppato il
suo pensiero prendendo spunto da una riflessione sulla natura del monachesimo occidentale.
I monaci, ha rammentato, in un periodo di grandi sconvolgimenti permisero la sopravvivenza
della vecchia cultura e la formazione di una nuova. Eppure, “la loro motivazione era
molto più elementare”:
“Leur motivation était
beaucoup plus simple… Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare
Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare
la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare
la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio”. “Dietro
le cose provvisorie – ha costatato – cercavano il definitivo”. Essendo cristiani,
questa “non era una ricerca verso il buio assoluto”. Dio stesso “aveva spianato una
via” e questa via era la sua Parola che “nei libri delle Sacre Scritture era aperta
davanti agli uomini”:
“La Parole de Dieu elle-même
nous introduit dans un dialogue avec Lui …”. La Parola di Dio introduce
noi stessi nel colloquio con Dio. Il Dio che parla nella Bibbia ci insegna come noi
possiamo parlare con Lui. Specialmente nel Libro dei Salmi Egli ci dà le parole con
cui possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita con i suoi alti e bassi nel
colloquio davanti a Lui, trasformando così la vita stessa in un movimento verso di
Lui. Certo, ha rilevato il Papa,
riprendendo Gregorio Magno, la Parola di Dio “trafigge il cuore di ciascun singolo”.
Tuttavia, questa “Parola non conduce a una via solo individuale”, ma “introduce nella
comunione con quanti camminano nella fede”. Il cristianesimo, ha detto ancora, “non
è semplicemente una religione del libro in senso classico”, giacché nelle parole percepisce
“la Parola, il Logos stesso”. E per questo, la Bibbia “esclude tutto ciò che viene
chiamato fondamentalismo”. Benedetto XVI ha rivolto così il pensiero al legame tra
Spirito e libertà, tema illuminato negli scritti di San Paolo. “Lo Spirito liberatore
– ha spiegato – non è semplicemente la propria idea”, lo Spirito “è Cristo, e Cristo
è il Signore che ci indica la strada”. Questa tensione tra legame e libertà, ha affermato
il Pontefice, “ha profondamente plasmato la cultura occidentale”. E oggi si pone “come
sfida di fronte ai poli dell’arbitrio soggettivo, da una parte, e del fanatismo fondamentalista,
dall’altra”:
“Si la culture européenne d’aujourd’hui
comprenait désormais …”. Sarebbe fatale, se la cultura europea di
oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami e
con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e
arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione. Benedetto
XVI non ha mancato di ricordare un’altra componente del monachesimo: il lavoro manuale
che appare come un’espressione particolare della somiglianza degli uomini con Dio,
“un collaborare con il Creatore”. Ed ha evidenziato che senza questa cultura del lavoro
lo sviluppo dell’Europa sarebbe impensabile. Il Papa è così tornato alla sua riflessione
iniziale sulla ricerca di Dio, “l’atteggiamento di fondo dei monaci”, “il guardare
oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere”. Come i monaci
anche i cristiani della Chiesa nascente consideravano il loro annuncio come “una necessità
intrinseca che derivava dalla natura della loro fede”. “Per loro – è stata la riflessione
del Papa – la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei
popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti”. Lo schema
fondamentale dell’annuncio cristiano “verso l’esterno”, ha indicato il Papa, si trova
nel discorso di San Paolo all’Areopago di Atene:
“Paul
n’annonce pas des dieux inconnus …”. Paolo non annuncia dei ignoti.
Egli annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono: l’Ignoto-Conosciuto;
Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto
e l’Inconoscibile. La situazione
di oggi, ha proseguito, è in molte cose assai analoga a quella che trovò San Paolo
ad Atene. “Le nostre città – ha costatato - non sono più piene di are ed immagini
di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto”.
Ma, ha aggiunto, “come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e
presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente
assillata dalla domanda che riguarda Lui”. Quaerere Deum, “cercare Dio e lasciarsi
trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati”:
“Une
culture purement positiviste, qui renverrait dans le domaine subjectif ...”. Una
cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica
la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue
possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero
essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la
disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.