Rischiano di allargarsi le violenze anticristiane in India
In un’intervista all’agenzia SIR, mons. Aleixo Das Neves Dias, vescovo di Port Blair,
nelle Isole Andamane e Nicobare dipendenti dal governo di New Delhi, sostiene che
la situazione in India "potrebbe degenerare”. Dopo le violenze anticristiane nello
stato dell’Orissa costate la vita a più di 20 persone, esiste - secondo il presule
- il rischio di un allargamento ad “altri Stati indiani notoriamente anticristiani,
come il Gujarat, il Madhya Pradesh, il Chattisghar”. “Il governo dell’Orissa e il
governo indiano - osserva - non fanno tutto ciò che si dovrebbe fare, nonostante la
presenza della polizia, ma se non viene fermata in tempo, la violenza contro i cristiani
rischia di propagarsi”. Mons. Dias parla anche delle minacce dei fondamentalisti indù
ricevute da mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bubaneshwar in Orissa,
ed elogia la decisione delle autorità di proibire la processione con le ceneri di
un leader indù, occasione per nuove violenze anticristiane. Sulla situazione nella
regione, Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente a New Delhi l'inviato
del quotidiano Avvenire, Claudio Monici:
R. - E’ una
situazione che ha un po’ dell’inverosimile, perché a un occhio distratto oppure non
informato di quello che sta avvenendo all’interno dello Stato dell’Orissa, si tratta
di una città dove si respira un’aria di relativa tranquillità: il solito trambusto
indiano, la solita povertà e tutte queste cose. Tranne che poi, quando ci si avvicina
ai luoghi di culto cristiani, la cosa cambia perché sono tutti assicurati dalla presenza
della polizia. E in effetti l’aria che si respira è quella di apprensione e di una
tensione che c’è, che è più interna al Paese: è oltre la capitale, qualche centinaio
di chilometri all'interno della giungla e nelle altre località e nel distretto di
Mandaramal. Lì la situazione certamente è tesa e quello che mi è capitato ne è la
cartina tornasole: essendo andato a vedere un meeting induista per curiosità professionale,
appena sono stato notato, il mio aspetto occidentale li ha fatti immediatamente gridare:
“Ecco, è uno di loro, è uno dei cristiani!”. Un sintomo di tensione che sicuramente
esiste, anche se le notizie che arrivano dall’interno adesso non sono più quelle di
un paio di settimane fa, con chiese da distruggere, gente da uccidere e sfollati.
Anche perché credo che, purtroppo, questo lavoro ormai sia stato già fatto.
D.
- La giornata di preghiera e di digiuno, indetta domenica scorsa dalla chiesa indiana,
pare sia andata bene…
R. - La partecipazione qui
è stata vissuta con intensità. La comunità cristiana, le varie espressioni certamente
hanno un attaccamento alla fede che è sorprendente. E quello è anche il ricovero dove
cercare conforto di fronte alla paura, di fronte all’ignoto, di fronte ad una situazione
che comunque è di una minoranza presente in questo Paese che comunque deve fare i
conti anche con l'isolamento dovuto alle lunghe distanze: per esempio, a Nuova Delhi
siamo lontani due ore di aereo dalle località interessate in questo momento dalla
aggressione e dalla violenza anti-cristiana. I religiosi con cui ho parlato mi hanno
detto: “Per il rito domenicale non è cambiato nulla, abbiamo soltanto chiesto ai nostri
fedeli di pregare di più, di unirsi ancora di più alla sofferenza: alla sofferenza
di chi ha patito, appunto, anche con il digiuno”.
D.
- C’è qualche cristiano che cerca di camuffarsi in qualche modo?
R.
- Direi di no. Quelli che ho potuto incontrare, no. Certamente, agiscono delle dinamiche
che a me probabilmente sfuggono, sono sconosciute. Si è parlato di conversioni, e
sicuramente ci sono state. Sono popolazioni povere, rurali: popolazioni che perdono
tutto, hanno paura, molto spesso non conoscono nulla al di là di quello che è la loro
vita, del quotidiano, dell’oggi, non del domani. Quello che è stato ieri è già una
cosa superata, perché bisogna andare avanti quotidianamente. Non ho trovato persone
timorose della propria fede, direi proprio di no. Anz, la fede c'è ed è forte.