2008-09-09 15:05:08

Mosca avvia rapporti diplomatici con Ossezia del sud e Abkhazia


Il leader del Cremlino, Medvedev, ha annunciato l'avvio di rapporti diplomatici tra la Russia e l'Ossezia del sud e l'Abkhazia. Inoltre ha chiesto al ministro della Difesa di definire le modalità organizzative relative alla “presenza delle truppe russe e delle basi militari” nelle regioni di Ossezia del Sud e Abkhazia, parlando di oltre 7600 soldati dispiegati. Sul versante georgiano, intanto, il presidente Saakashvili ha detto di aver consegnato “solide prove” all’Unione Europea dalle quali emerge che il conflitto nel Caucaso è stato provocato dalla Russia. Sull’accordo raggiunto da Medvedev e Nicolas Sarkozy, presidente di turno dell'UE, si sofferma al microfono di Stefano Lesczynski, Fabrizio Dragosei, corrispondente a Mosca del Corriere della Sera:RealAudioMP3


R. - L’accordo che è stato raggiunto da Sarkozy e da Medvedev ieri, prevede il ritiro dei posti di blocco russi immediatamente, nel giro di una settimana. Prevede anche il ritiro di tutte le forze di pace russe che si trovano in Georgia, nel territorio georgiano, al di fuori dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, per il primo ottobre. Ci sarà poi la loro contemporanea sostituzione con truppe di pace, con osservatori dell’OSCE e dell’Unione Europea. A Mosca non si è mai parlato di un ritiro dei russi dalla Ossezia del Sud e dalla Abkhazia. Il governo russo ha riconosciuto le due regioni, ha firmato un accordo militare e sta costruendo delle basi militari in Ossezia ed in Abkhazia.

 
D. – In realtà non cambiano molto i termini che hanno provocato la tensione in Caucaso…

 
R. – La situazione, oggi, è tornata al punto di partenza, cioè Ossezia e Abkhazia sono di nuovo indipendenti dalla Georgia; in più – e questo però è la conseguenza dell’azione militare georgiana – ci sono truppe russe in Ossezia ed Abkhazia. Con l’Europa credo che i rapporti si siano ricuciti quasi totalmente.

 
D. – Si prevede comunque un intervento internazionale più ampio, a livello di vertice, di conferenza internazionale, per ricucire il dialogo tra tutte le componenti di questa crisi del Caucaso. Ci sono delle possibilità, effettivamente, di riappacificare la regione?

 
R. – Riappacificare no, tenere sotto controllo, sicuramente sì. La conferenza che inizierà a Ginevra, il 15 ottobre, è una conferenza soprattutto incentrata sul problema del ritorno dei profughi nelle zone di provenienza. Non è una conferenza che ha il compito di definire lo status di Ossezia e Abkhazia. Io credo che la situazione rimarrà congelata.

 
D. – E’ auspicabile un congelamento della situazione in Caucaso. I suoi effetti, tuttavia, potrebbero incendiare quel che resta dell’Europa orientale, ancora non inglobata nell’Unione Europea?

 
R. – Il problema è, a questo punto, veramente l’Ucraina, l’unico Paese con il quale ci sarà da parlare e da vedere quello che succede nei prossimi giorni perché lì, la crisi georgiana, ha scatenato una crisi politica gravissima. A Kiev ci potranno essere delle grosse ripercussioni ma per il resto non credo.

A destare preoccupazione è soprattutto la situazione umanitaria: al microfono di Gabriella Ceraso, Francesco Rocca, direttore sanitario della Croce Rossa Italiana, traccia un quadro sullo stato attuale e sulla condizione degli sfollati:RealAudioMP3


R. – Dopo un primo intervento a metà agosto a Tblisi è stato possibile accedere a Gori, che forse è stata la città più martoriata. Il nostro nucleo è presente nell’unica tendopoli della Georgia, dove vivono 1.600 persone, 300 bambini e tantissimi anziani prevalentemente provenienti dall’Ossezia del Sud o da villaggi a ridosso dell’Ossezia.

 
D. – I dati più aggiornati sul numero degli sfollati, quali sono?

 
R. – Dovrebbero essere circa 35-40 mila. Il mio timore è che comunque non si faccia in tempo per prevenire il nuovo pericolo che stiamo individuando: il freddo per chi è costretto a dormire sotto una tenda.

 
D. – Delle nuove intese politiche, dall’indipendenza ottenuta all’appoggio dell’Europa alla Georgia, c’è percezione tra la gente?

 
R. – Quello che noi vediamo è il dolore di questa gente: chi ha fame, chi non ha come vestirsi, chi non ha l’acqua calda, chi non ha nulla, difficilmente trova il tempo. C’è la disperazione per aver perso tutto.

 
D. – A livello internazionale si parla di “pulizia etnica” e di violazione dei diritti umani …

 
R. – Noi ci siamo fatti l’idea di una fortissima insicurezza sul terreno; che questa sia frutto della pulizia etnica predeterminata o di bande criminali, questo noi non abbiamo elementi per poterlo dire. Sicuramente, c’è tutta una serie di episodi. So per certo che sono stati segnalati alle autorità che provvederanno a fare le loro valutazioni …

 
D. – Potendo fare un appello a quanti ci ascoltano, cosa vorrebbe sottolineare?

 
R. – Alle persone posso chiedere di starci vicini perché veramente, sul terreno, la situazione è drammatica.







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